Vino novello, per favore, non chiamatelo vino
Non discuto la convenienza commerciale di un prodotto che arriva prima del giusto tempo e consente alle aziende l’introito della prima moneta. Ma da qui a chiamare «vino» il vino novello, ce ne vuole!
Partiamo dalla sua storia. Tutto nasce in Francia, nei dintorni di Lione, dove uve di scarsa attrazione commerciale e di pessimo rendimento in vino non riuscivano ad avere il loro mercato e rimanevano sulle piante.
I francesi che sono furbetti inventarono un bel nome evocativo, “Beaujolais nouveau”, per indicare un vinello prodotto dalla macerazione carbonica delle uve non comprese nei dieci cru più famosi.
Insomma, gli scarti. Inserirono queste uve in un silos sigillato in assenza di ossigeno e saturo di anidride carbonica per indurre una fermentazione veloce e, voilà, ecco un vino dall’immediato consumo che già a marzo risulta imbevibile e va tolto dagli scaffali.
Mi chiedo chi può sinceramente ritenere il novello un vino. Può mai il vino, essenza della vite e della vita, nascere in assenza di ossigeno? Gli si può mai chiedere di accelerare innaturalmente i tempi della fermentazione che, è risaputo, deve essere lunga e lenta per permettere a tutti i polifenoli di esprimersi al meglio?
La cantina di cui mi sono onorato di essere per un periodo consigliere e dove conferisco le mie uve, quella del Consorzio Produttori Vini, ha sempre visto il vino novello che conosciamo come una contraddizione fuorviante da quel sentiero intrapreso di qualità e caratterizzazione territoriale.
Per questo motivo inventò il “Gioviale”, un Primitivo a cui si è chiesto, cortesemente e quasi per gioco, di interrompere la fermentazione solo un poco prima, naturalmente e al punto giusto per essere un vino a tutti gli effetti ma con quel “senso giovanile” che ha portato al successo l’invenzione francese».
www.lavocedimanduria.it – 10/11/2015