Bordeaux affair – Associazione Italiana Sommelier
Una domanda sta inseguendo i sommelier, gli importatori e i distributori di vino, i giornalisti e gli acquirenti del vino rosso di Bordeaux: cosa bolle in pentola, o meglio cosa fermenta nel tino?
Fino a qualche anno fa, fino al 2000, c’era un naturale e aulico aplomb girondino, tanto che riuscirono a vendere quella vendemmia come outstanding, nascondendo la volontà commerciale di presentarla semplicemente come la vendemmia del nuovo millennio. Fu un’operazione molto ben riuscita. Poi venne il 2003, un’annata strana e caldissima.
Nel 2004, agli inizi di aprile, si svolse la solita degustazione en primeur e tutto il mondo del wine tasting, del giornalismo, dei négociant vi si precipitò per degustare le anteprime della vendemmia appena trascorsa.
Quell’anno ci furono molti pareri contrastanti e uscì fuori la parola parkerizzazione: il pomo della discordia fu Château Pavie. Il vino fu osannato da Parker e criticato dalla Robinson, che lo definì un Porto, per via di una super concentrazione.
Una volta imbottigliato gli echi di quella diatriba non si sono ripetuti, il vino aveva perduto qualcosa del concentrato e acquisito qualcosa dell’annata calda; forse qualcuno si chiese cosa fosse accaduto, ma le risposte, come canta Bob Dylan se ne sono volate via: blowin’ in the wind.
Qualche mese fa Le Monde, notoriamente un quotidiano non da gossip, ha pubblicato un’intervista di un wine-maker di grido dell’aerea girondina in cui si fanno delle considerazioni sulle degustazione en primeur, e alla fine si scopre che i campioni di vino vengono appositamente preparati, e sembra ci siano campioni per il mercato inglese e per quello americano: il vino che andrà poi in bottiglia sarà diverso.
Subito molti dotti del vino hanno affermato che erano venti anni che sospettavano questa pratica, la cosa ci fa un po’ sorridere se pensiamo che gli ilcinesi attendono quasi cinque anni per dare il Benvenuto al Brunello.
Ognuno tragga le proprie riflessioni.
Adesso il dibattito a Bordeaux è aperto: c’è di sostiene che dietro a ciò ci sia un fondo di onestà e chi afferma che la questione non sia né giustificabile né necessaria.
I più critici affermano che, nonostante tutti gli accorgimenti, quel vino resta comunque un esempio organolettico molto incompleto, perché è pur sempre nei primi mesi del suo affinamento.
Dall’altra parte la difesa sostiene che bisogna facilitare la degustazione ai compratori e ai giornalisti, presentando vini più facili da analizzare in questa primissima fase del loro sviluppo.
Molto chiara è la definizione che l’enologo bordolese intervistato da Le Monde ha dato di questi campioni: sono dei poupées, e quindi bisognerebbe pensarli e trattarli come dei poppanti (ndr). Qualcuno nel leggere questa parola ha detto sarcasticamente che è un tentativo per giustificare una certa non onestà.
Lo scorso giugno è apparsa anche la dichiarazione di Michel Rolland, una star a Bordeaux e non solo. Anche lui dice che l’affair premieur è un gioco rischioso per il consumatore.
Il Bordeaux sembra si stia avvitando in una specie di ingarbugliamento, forse per la perdita di un po’ di appeal planetario, poi c’è un 2012 un po’ sofferente nel prezzo, uno Château di grido che non venderà en primeur (scandalo), infine alcune aziende sono state anche cedute a investitori esteri, come Le Bon Pasteur di Rolland ai cinesi: chissà se il meglio deve ancora venire?
AIS – 23/07/2013