La “mani pulite” cinese colpisce il vino. Addio alle grandi bottiglie per corrompere i funzionari.

Non solo dazi. Le minacce per il vino italiano in Cina non vengono solo dal rischio di un inasprimento dei dazi sull’export, ma anche dal forte vento di moralizzazione che sta soffiando sugli stili di vita cinesi oltre a una rinnovata pressione dei competitor internazionali.

A spiegarlo è Gianluca Bisol, una dei principali produttori del Prosecco è che è appena tornado da dieci giorni in Cina dove ha tenuto due (affollati) workshop a Shangai e a Hong Kong, dedicati dalla scuola di degustazione Awsec al famoso spumante italiano.

Non solo dazi

L’indagine aperta dalle autorità cinesi sull’eventuale ricorso a politiche antidumping da parte degli operatori europei quindi è solo un aspetto del difficile momento che sta vivendo in Cina il vino e che ha richiesto la compilazione di un articolato questionario a 1.500 aziende italiane convolgendo inoltre panel di imprese europee sotto osservazione l’italiana Cevico.

“E’ chiaro che un inasprimento fiscale avrebbe effetti deleteri sui nostri vini - spiega Gianluca Bisol – che già oggi fra dazi doganali, Iva e consump t iont tax subiscono un inasprimento che in media è del 48,2% sul prezzo finale. Ma non è questo il principale problema”.

Una “Mani pulite” in salsa cinese

Secondo il produttore italiano in questo frangente la principale minaccia viene dal vero e proprio giro di vite che sta interessando i consumi di vino.

“Dopo gli scandali sulla corruzione emersi nel processo al leader del partito comunista cinese Bo Xilai – aggiunge Bisol – si è generata una forte azione moralizzatrice delle autorità cinesi con pressanti inviti a rivedere gli stili di vita dei dirigenti pubblici e della diplomazia.

Invito all’austerity che stanno coinvolgendo in particolare la città di Pechino dove è più forte il peso della politica e della diplomazia. Si sta vivendo insomma un clima molto simile a quello registrato in Italia ai tempi dell’indagine “Mani pulite” con caduta dei consumi nella ristorazione e negli alberghi “.

E la prova è anche nei numeri riportati dallo stesso produttore italiano. “Secondo i dati delle dogane cinesi – spiega – nel primo semestre 2013 le esportazioni erano aumentate del 10% mentre secondo le prime proiezioni a settembre si registra un calo dell’1%. Con flessioni più pesanti per la Francia che per l’Italia ma per la maggiore quota di mercato rivestita dai francesi”.

Una concorrenza sempre più pressante

Il giro di vite sui consumi di vino (che sta penalizzando anche i produttori locali che non a caso stanno cavalcando l’indagine sui vini europei) fa poi il paio con un quadro competitivo che si sta progressivamente complicando.

Il mercato del vino cinese vede fra gli operatori internazionali una quota di mercato del 50% che è gestita dalla Francia forte del grandi investimenti compiuti a partire già dagli anni ‘70.

Ma vede in posizione privilegiata e ben prima dell’Italia (accreditata a malapena di un 6% del mercato) diversi altri produttori. In primo luogo sono in grande ascesa i vini spagnoli forti di un miglior rapporto qualità prezzo rispetto alle etichette made in Italy, aspetto che li sta favorendo in particolare in un frangente di austerity nei consumi.

“Ma ben prima dell’Italia – prosegue Bisol – vengono anche Cile e Nuova Zelanda che possono vantare due accordi di libero scambio con la Cina che si riflettono in prezzi di vendita più favorevoli rispetto ai nostri”.

ilsole24ore,com – 09/09/2013

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