Affinare a 2.000 metri: il freddo amplifica le caratteristiche del vino, che evolve senza invecchiare

NELLE MINIERE D’ARGENTONel 1237 un documento dei Conti del Tirolo dichiara che l’argento estratto in Val Ridanna, una stretta valle altoatesina quasi al confine con l’Austria, era considerato il migliore d’Europa, l’Argentum Bonum. Oggi di quei tempi resta una miniera scavata nella montagna, a 2mila metri di quota: ed è lì che la produttrice Elena Walch ha deciso di affinare ogni anno una piccola parte della sua produzione. Solo bianchi, Gewürztraminer Kastelaz e la cuvée a base Chardonnay Beyond the Clouds. Un tocco d’argento regalato dal buio (per arrivare alla galleria di affinamento si percorrono tre chilometri all’interno del monte) e dalla temperatura costante di sette gradi con un’umidità del 95 per cento.

Tutto nasce per caso, con un ricordo di famiglia: «Fu mia nonna a notare che, nella nostra baita di montagna, la Schiava, un vino da bere giovane, non adatto all’invecchiamento, si manteneva bene per anni. Da lì, la ricerca di un luogo in quota per affinare le nostre bottiglie e donare loro una maggiore longevità. L’ex miniera d’argento ci è sembrata, anche simbolicamente, il luogo giusto», spiega Karoline Walch, figlia della produttrice e responsabile del progetto. Dal 2011 Walch riserva 1.200 bottiglie per tipo all’affinamento in miniera, dove riposano per quattro o cinque anni, si fregiano della dicitura Argentum Bonum in etichetta e sono poi vendute su prenotazione a privati o enoteche. Le degustazioni comparative con gli stessi vini affinati in cantina non mentono: quelli che arrivano dal cuore della montagna mostrano un colore dai toni più freddi e brillanti, segno di giovinezza, e una maturazione più lenta, più armonica e complessa.

NEL PARCO FINO AL DISGELO Vini d’Altura è nata per occuparsi di affinamento: non produce vino, ma lo sceglie e lo porta ogni inverno a 2mila metri, nel Parco Nazionale del Gran Sasso, poco prima che inizi a nevicare. La zona, inaccessibile e segreta (per accedervi, hanno permessi speciali dal Parco e nell’ultimo tratto portano i vini a spalla), assicura un affinamento tranquillo alle bottiglie, conservate in speciali contenitori di legno e ferro che vengono poi ricoperti di neve fino al disgelo. Un progetto affascinante, che ha visto salire in quota, per primi, i vini d’Abruzzo, Cerasuolo, Montepulciano e Pecorino, seguiti da sperimentazioni con altri vitigni italiani, Nebbiolo, Marzemino, Morellino e Negramaro. Presto si proverà anche con le bollicine metodo classico. Ma cosa succede alle bottiglie coperte di neve? «I sentori tipici dei vitigni sono amplificati, esaltati, ma grazie al freddo, il vino non invecchia: mantiene inalterata la sua freschezza. Al momento del disgelo l’aria rarefatta e ricca di minerali, per una serie di reazioni chimiche, penetra nelle porosità del sughero e regala sfumature uniche, balsamiche, proprio come una boccata d’aria montana», spiega Bruno Carpitella, l’ideatore dell’affinamento in vetta.

L’ARIA DELL’APRICA Mario Bassi, valtellinese fondatore di Involt Agnelot , è un viticoltore anomalo. Il vino lo fa prima di tutto come piace a lui e per farlo ha rinunciato alle denominazioni che hanno reso famose le bottiglie della Valtellina – Inferno, Grumello, Sassella – per poter vinificare senza rispettare il disciplinare, le regole di produzione. Rappresentante della viticoltura eroica – vigne arroccate sui monti, trattenute da muretti a secco, con lavorazione e vendemmia solo manuali – produce tre cru di Nebbiolo, qui chiamato Chiavennasca. E siccome non ama la classica maturazione in legno, ha deciso di riempire la cantina a Tresenda di (bellissime) anfore in terracotta per affinare il vino in tre momenti diversi. Due anni in acciaio, poi uno in terracotta che, essendo un materiale inerte, non rilascia troppi sentori e profumi come, a volte, può capitare con le botti e le barrique, infine la villeggiatura all’Aprica. Le bottiglie vengono portate a Pian di Gembro, riserva naturale a 1.400 metri di altitudine, dove la famiglia ha casa, e lasciate a riposare per due o tre anni, senza fretta; le riportano a valle solo quando richieste e vendute. Qui non sono la neve e il gelo a giocare un ruolo importante, perché le bottiglie sono al coperto e a temperatura costante, ma l’aria. Mario Bassi concorda sull’effetto ringiovanimento: «Il maggior beneficio dell’alta quota è il minor ossigeno. Il vino migliora invecchiando più lentamente, conservando una freschezza unica e potenziando tutti i profumi».

www.ilsole24ore.com – 09/12/2020

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