Curiosità
L’estate 2021 si tinge di rosé
Per anni snobbato, soprattutto dagli intenditori, questa stagione il vino in rosa si prende la propria rivincita comparendo sempre più spesso sulle tavole degli italiani. I puristi si affideranno a delle bottiglie e made in France, mentre chi crede nel nostro Bel Paese sperimenterà le varietà qui prodotte. L’importante è dare una chance a questo trend che di certo vi conquisterà.
Polemica c’è attorno alla creazione Prosecco Rosé, i produttori del Territorio dell’ Asolo Prosecco DOCG hanno addirittura scritto una lettera aperta per opporsi alla creazione di un “Prosecco Doc Rosé”, tante le ragioni reali dalla necessità di impiantare nuovi vitigni alla mancanza di tradizione.
Polemica o no, fatto sta che le bollicine rosé vanno per la maggiore soprattutto tra noi ragazze. Bellussi crea una bottiglia di forte impatto, nera con etichetta fucsia, per il proprio Prosecco Doc Rosé Brut ottenuto da una selezione di uve Glera e Pinot Noir mentre il Montelvini Prosec Doc Rosé Treviso caratterizzato da sentori di fiori e frutta bianca con note di frutta rossa.
Chi ama i francesi dovrà provare il Perle Rosé di Artur Metz punta tutto su un perlage cremoso, mentre dalla Sicilia arriva il Frappato Spumante Santa Tresa un vino biologico che è un brindisi all’estate.
https://www.iodonna.it – 11/08/2021
La decennale maturazione del Vino Santo Trentino
Nella valle dell’Adige, collegata al Garda da un’antica via romana che percorre interamente la valle dei Laghi, un’area caratterizzata da clima mite, si coltiva la nosiola, un vitigno autoctono da cui si ricava il Vino Santo Trentino DOC , da non confondersi col Vin Santo toscano. La zona di produzione è limitata alle valli a sud di Trento, fino alla sponda nord del Lago di Garda; soltanto il 10% dei vigneti di nosiola della Valle dei Laghi è idoneo per l’appassimento, poco più di 10 ettari in tutto.
Per produrre questa perla enologica si raccolgono grappoli spargoli cioè con pochi acini in alcuni vecchi vigneti posti in appezzamenti specifici che permettono un appassimento lunghissimo. I grappoli ben maturi, dopo essere stati raccolti in vendemmia tardiva, sono stesi su graticci detti “arele” e collocati sulle soffitte. La costante ventilazione è garantita tutto l’anno dalla cosiddetta “ora del Garda”, un caratteristico venticello che soffia dal vicino lago e dal vento delle Dolomiti di Brenta.
L’appassimento si protrae per oltre cinque o sei mesi, fino alla Settimana Santa (da qui il nome che prende il vino), periodo in cui si svolge la pressatura. La muffa nobile (Botrytis cinerea) che si sviluppa all’interno dell’acino ne accentua la disidratazione: l’azione combinata del tempo e del vento, provoca un calo dell’80%, il che significa che da 100 chili di uva nosiola si ottengono tra i 15 ed i 18 litri di mosto di Vino Santo.
Successivamente si avvia la fermentazione in botte piccole di rovere francese Leggi il resto di questo articolo »
La “ombra” di bianco del 1° agosto
Si narra che la regina d’Ungheria lungo il viaggio da Venezia a Padova si ammalò di febbre malarica quando attraversò le campagne alle porte di Treviso, all’epoca paludi e terre non ancora bonificate. Nonostante le cure di alcune monache, la febbre continuò a salire facendo temere per la vita della regina malata. La mattina dell’1 agosto di una data incerta, quando ogni speranza era ormai perduta, la badessa del convento che ospitava l’illustre personaggio decise di rischiare il tutto per tutto e scendendo in cantina spillò una caraffa di mosto di vino bianco fermentato di uva Sant’Anna che fece bere fino all’ultima goccia alla Regina ormai in punto di morte. Sia stato il vino o solo il fato, la febbre sparì.
Da quei giorni, dalla datazione incerta , divenne presto “tradizione” il bere un’ombra di bianco il mattino del primo Agosto, appena desti e prima d’intraprendere le attività giornaliere per scacciare le febbri e i malanni e, cosa affatto rara allora nei campi, i morsi dei serpenti .Siamo nel pieno dell’estate e della canicola ( 24 luglio/26 agosto) ed in attesa delle piogge ristoratrici – pioggia d’agosto rinfresca il bosco, recita il proverbio – la campagna è riarsa, preda d’ogni sorta di ronzanti zanzare, allupate dalle temperature e dal sentore della loro imminente fine, dedite a pungere incessantemente uomini ed animali provocando febbri e dolorose dermatiti . Quel rito taumaturgico, panacea contro il solleone che minava le forze ai contadini impegnati nella mietitura e nella raccolta dei frutti di stagione, si è ripetuto stamane sull’ Ultimo Miglio, lungo l’Ostiglia, dove al vecchio casello di strada dell’Aeroporto, là dove inizia, si son dati appuntamento i residenti della contrada Moncia per augurarsi, calici levati, salute e prosperità.
A mescere i calici di bianco i titolari del Ristoro omonimo aperto poco tempo fa che han ridato nuova vita al vecchio casello rimasto orfano del suo ultimo casellante, Egidio Cecchetto, uno dei 4 moschettieri artefici del restauro del settecentesco capitello dedicato al Santissimo Nome di Maria che sorge lì accanto, meta non solo di devozione ma anche di salutare sosta per i viandanti della “Strada del Respiro”, questo il soprannome della ciclopedonale Ostiglia, immersi nel refrigerio del suo bosco lineare che la cinge da ambo i lati. Un brindisi , quello della contrada Moncia, d’auspicio per tutti affinché abbia a cessare il prima possibile questa pandemia che ci affligge da ormai troppo tempo.
https://www.trevisotoday.it – 01/08/2021
Cosa sono gli orange wines
Ultimamente stanno diventando sempre più una moda, e si sente parlare spesso degli “Orange Wines”, un termine inglese utilizzato per definire una tipologia di vino che ha origini antiche.
Gli Orange Wines sono vini prodotti con uve a bacca bianca, che assumono quella colorazione tendente all’ambrato e all’arancione, grazie al procedimento di vinificazione c.d. in rosso (cioè utilizzato generalmente per le uve a bacca rossa). In pratica le bucce dell’uva, i vinaccioli (a volte anche i raspi) e i lieviti vengono lasciati macerare a lungo insieme al mosto, conferendo al vino ricchezza di tannini, da cui prendono anche quella colorazione arancio – ramata, e aromi intensi, che li distinguono marcatamente dai vini bianchi.
La loro origine è in realtà piuttosto antica, risale a migliaia di anni fa in Armenia, dove la produzione di questi vini macerati, avveniva in anfore di argilla interrate – chiamate Kveri. Da questo metodo si ottenevano vini molto strutturati, tannici (un po’ ruvidi al palato) e un po’ ossidati ma al tempo stesso anche con intensi profumi balsamici. Oggi questo procedimento di produzione è stato riconosciuto come patrimonio dell’umanità dall’Unesco, e sta conquistando produttori di tutto il mondo oltre che in Italia. Ogni produttore ha un suo stile di produzione e può sperimentare con la durata della macerazione in anfora, facendo seguire magari anche un affinamento in botti di legno. I vini vengono filtrati per decantazione, cioè con i residui che si depositano sul fondo anche vari risultati nel vino.
Di solito i vitigni più usati sono il Pinot Nero, Sauvignon ma anche Trebbiano Albana o Pecorino. I vini che si ottengono oltre al colore aranciato hanno dei profumi che ricordano la foglia di pomodoro verde o il geranio, miele, oppure di frutta secca come albicocche e mandorle, nonché qualche nota speziata. Il loro abbinamento può prestarsi con carni saporite e speziate, ma anche con piatti della cucina orientale. La temperatura di servizio è a discrezione di come lo si preferisce: a temperatura ambiente oppure leggermente fresco.
https://www.sienanews.it
Dietro al vino buono, c’è una persona buona
Il professor Venturelli, il guru del Sorbara, mi dice che sceglie le bottiglie da bere basandosi sulla qualità delle persone che le producono. Un criterio prossimo al greco “kalòs kagathòs” non può che deliziarmi ma conoscere personalmente tutti i produttori è impossibile e allora io, quando non so se le bottiglie che ho davanti sono prodotte da belle/brave persone, scelgo quantomeno bottiglie prodotte da persone.
Ossia vini che portano in etichetta nome e cognome del produttore, o il cognome di famiglia (magari dopo aver verificato che l’azienda non è stata venduta a qualche gruppo, fondo, cooperativa). Questo criterio innanzitutto esclude le cantine sociali, dove essendoci troppe persone non può sussistere una personalità. E le grandi aziende amministrate da dirigenti estranei alla proprietà dato che “un funzionario è un essere senza originalità”, come insegna Baudelaire.
Qualche esempio? Un’altra volta: intanto impratichitevi col metodo Venturelli-Langone.
https://www.ilfoglio.it – 22/07/202
È incredibile che questi vini rossi si abbinino al pesce meglio dei bianchi
Da sempre, forse da quando il fare vino divenne cultura enologica, si è soliti abbinare il bianco alle portate di pesce. Un cliché che difficilmente non viene rispettato, nonostante le tecniche e i metodi di vinificazione si evolvano molto rapidamente.
Solo negli ultimi anni si è cercato, grazie all’opera di audaci sommelier, di scardinare il più classico degli abbinamenti enologici. La regola dice: “con il pesce si beve un bianco”.
È incredibile che questi vini rossi si abbinino al pesce meglio dei bianchi. Tracciamo l’identikit del vino rosso che più facilmente si sposa con il pesce e che quindi può essere bevuto anche in estate.
I rossi vengono associati solitamente ad una lunga maturazione in legno, magari in botti di rovere, ma non è più così per molti rossi.
In molte cantine si vinifica in acciaio, o si affina in bottiglia, prediligendo gli aromi e i sentori floreali fruttati rispetto a quelli legnosi e strutturati.
D’altra parte, il palato dei giovani consumatori ed estimatori di vino, cerca vini leggeri e beverini.
Infine il tannino. I tannini sono sostanze naturali che si trovano nelle bucce degli acini, nei semi o nei raspi. I tannini, inoltre, vengono ceduti al vino anche dalle botti di legno. Un vino tannico è un vino che offre una sensazione astringente, lascia il palato asciutto. Un vino tannico è ottimo in abbinamento con le carni perché ne bilancia la succulenza.
Il pesce, che nella maggior parte dei casi è un piatto magro, non predilige il vino tannico. Al contrario, i rossi con minor tannino, saranno i migliori da abbinare ai secondi di mare.
Vediamo, quindi, una regola base che possiamo seguire: Leggi il resto di questo articolo »
Russia, è “guerra” dello champagne con la Francia, ecco perché
Il colosso del lusso francese Lvmh ha decretato lo stop alle consegne in Russia di Moet et Chandon, Veuve Cliquot e Dom Perignon privando oligarchi e ricchi vari del flute principe di notti brave e cerimonie solenni.
Ad aprire le ostilità è stato Vladimir Putin che ha appena firmato una legge, entrata in vigore il 2 luglio, che penalizza lo status symbol terminologico della bevanda più nota al mondo.
Lo champagne esportato in Russia non potrà più chiamarsi così e dovrà accontentarsi della ben più modesta definizione di “spumante“. Il brand classico delle bollicine francesi sarà invece riservato a quelle prodotte in Russia.
La reazione della filiale russa di Moet-Hennesy, compagnia che opera Wines & Spirits di Lvmh, è stata immediata e ha preso la forma di una missiva i cui contenuti sono stati resi noti dal quotidiano economico russo Vedomosti: la decisione di fermare seppur temporaneamente l’export di champagne è presa. In attesa di trovare un compromesso.
Lo spumante in Italia, affari d’oro con la Russia, è il quarto consumatore delle bollicine nostrane
Con un aumento record del 37 per cento nelle esportazioni di bottiglie di spumante italiano, la Russia si classifica al quarto posto tra i principali consumatori delle bollicine italiane, dopo Germania, Stati Uniti e Regno Unito.
E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti relativa al primo trimestre 2021 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, in riferimento alla guerra dello champagne tra Russia e Francia che potrebbe avvantaggiare proprio il Made in Italy.
Lo scorso anno – sottolinea la Coldiretti – sono state stappate 25 milioni le bottiglie di spumante nel Paese di Putin dove particolarmente apprezzati sono il Prosecco e l’Asti.
https://qds.it – 04/07/2021
Prosecco, la richiesta croata è inaccettabile. L’Ue difenda le eccellenze dei propri Stati
Bocciata senza mezzi termini la richiesta di Zagabria di ottenere il riconoscimento della menzione “Prosek” ad un vino bianco locale. “No al Prosecco croato: bene ha fatto Paolo De Castro, coordinatore del Gruppo S&D alla commissione Agricoltura dell’Europarlamento, a scrivere al commissario Janusz Wojciechowski, così come Alessandra Moretti a presentare un’interrogazione urgente. Stiamo parlando di una denominazione protetta, non possiamo accettare certi comportamenti che rischiano di squalificare un nome e una produzione, oltre a ingannare i consumatori” afferma l’esponente PD.
La Croazia dunque torna ancora una volta alla carica e chiede nuovamente l’avvio delle procedure di riconoscimento della menzione tradizionale “Prosek” a livello Ue. Una richiesta che non è nuova a Bruxelles, in quanto la proposta di riconoscimento della denominazione era già stata avanzata nel 2013. Una proposta che venne fermamente rifiutata in quanto evocazione fin troppo evidente del vino Veneto per eccellenza.
Anche questa volta l’Italia non è stata a guardare ed ha subito inviato alla Ue un’istanza in cui richiede di non pubblicare nemmeno la richiesta croata nella Gazzetta Ufficiale . “C’era già stato un parere negativo nel 2013 proprio perché si creava confusione, non capiamo perché tornare all’attacco. Il regolamento Ue, tra l’altro, prevede che le Denominazioni di origine e le Indicazioni geografiche protette debbano essere tutelate da ogni abuso. E questo lo è.” continua Francesca De Zottis: “L’Unione Europea si preoccupi di garantire a tutti i Paesi membri di valorizzare le proprie specificità locali, anziché aiutarli a promuovere brutte copie delle eccellenze altrui. Una richiesta che è ancor più paradossale oggi che le Colline del Prosecco sono diventate patrimonio Unesco a testimonianza del legame con uno specifico territorio. La vera sfida, adesso, è rendere la produzione più sostenibile puntando sul metodo biologico, non certo la competizione con un vino croato, sulla cui qualità non discutiamo. Ma che non è e non potrà mai essere Prosecco”.
https://www.oggitreviso.it – 04/07/2021
Cosa hanno in comune la cannella e il vino rosso?
Cosa hanno in comune la cannella e il vino rosso? Apparentemente nulla, ma se riuscite a “sentire” questa spezia sarete degli appassionati di vino. A renderlo noto è una ricerca, condotta dall’Università di Trieste, in collaborazione con l’Ospedale materno infantile Burlo Garofolo, che ha scoperto, per la prima volta, la correlazione genetica tra un recettore dell’olfatto, la percezione della cannella e il senso di piacevolezza per i vini rossi che contengono cinnamaldeide, una sostanza che dà origine, appunto, ai sentori di cannella.
Al di là della curiosità, si tratterebbe di un nuovo passo nel campo della genetica delle preferenze alimentari, al punto che è stato incluso da Elsevier, casa editrice della rivista “Food, Quality & Preference” che ha pubblicato lo studio e principale editore mondiale in ambito medico e scientifico, nella newsletter periodica che presenta gli studi più interessanti ai giornalisti di tutto il mondo. Il professor Paolo Gasparini, ordinario di genetica medica all’Università di Trieste, responsabile del servizio di genetica medica e direttore del dipartimento dei servizi di diagnostica avanzata all’Ospedale Burlo Garofolo, studia da anni la genetica degli organi di senso, insieme al team di ricercatrici Maria Pina Concas, Anna Morgan, Giulia Pelliccione e Giorgia Girotto.
Le preferenze alimentari individuali sono influenzate da molti fattori come la cultura, la disponibilità di cibo, gli aspetti nutrizionali e la genetica, che analizza come i geni coinvolti in queste funzioni determinano la capacità percettiva. Tra i fattori genetici, un esempio significativo riguarda il gene TAS2R38, determinante per le differenze individuali nella percezione del gusto amaro. Le variazioni del gene TAS2R38 Leggi il resto di questo articolo »
Vino, sull’etichetta saranno indicate anche le calorie
Quanto pesa un brindisi sulla dieta? Entro la fine del 2022 sarà più facile saperlo: le etichette sulle bottiglie di vino dovranno riportare anche le calorie contenute. L’indicazione sarà valida a livello europeo: oltre alle calorie, è prevista l’introduzione della e-label, l’etichettatura digitale che, tramite Qr Code, permette ai consumatori di conoscere gli ingredienti e gli eventuali allergeni.
La novità arriva dall’accordo provvisorio raggiunto a Bruxelles sulla Politica agricola comune (Pac). Ora dovrà passare l’esame dei Ministri dell’Agricoltura e dell’Europarlamento. Se verrà confermata, la rivoluzione delle etichette permetterà a chi beve di sapere quante calorie contiene ogni bicchiere. In media, secondo le tabelle nutrizionali del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e analisi economica agraria), 100 grammi di vino, che sia rosso o bianco, contengono 70 kcal.
Oltre alle calorie, le nuove etichette saranno anche smart e virtuali, grazie al Qr Code che, una volta inquadrato, permetterà di scoprire ingredienti ed eventuali allergeni. La scelta di puntare sulle e-label, ha commentato all’Ansa il segretario generale della Unione Italiana Vini (Uiv) Paolo Castelletti, evita che le cantine debbano trasformare le etichette in “un bugiardino con caratteri piccolissimi e in una Babele di lingue”, per garantire chiarezza anche nei Paesi in cui esportano.
Altra novità sono i pittogrammi legati alle avvertenze sanitarie, che dovrebbero diventare obbligatori entro la fine del 2023. I disegnini che ricordano il divieto di guida in stato d’ebrezza, quello di consumo per i minori e le cautele per le donne in gravidanza sono già presenti su molte bottiglie che contengono alcol, ma presto lo saranno ovunque
https://www.wired.it – 2906/2021