Curiosità
Emilia-Romagna e vini: lambrusco ma non solo
Se dici Romagna bevi Sangiovese, se dici Emilia il pensiero va a un bel bicchiere di Lambrusco, il vino per eccellenza da Reggio-Emilia a Modena e a Bologna. Chi non lo ha assaggiato, abbinato a uno di quei bei piatti succulenti e dal sapore antico che si preparano nella pianura padana o sui colli appennini al confine con la Toscana o nella bassa lungo il Po? Un’infinità di varietà e di esperienze sensoriali che fanno tornare alla mente partite a briscola nei bar di paese, immagini sbiadite di Don Camillo e Peppone, il rombo dei motori e della gare di bocce. Più che un vino uno status symbol della cultura popolare emiliana, ma che non disdegna le grandi e raffinate tavole degli chef gourmet.
È una leadership, quella conquistata dal Lambrusco sul mercato e nell’immaginario comune di chi deve pensare a un vino emiliano, che affonda le sue radici nei secoli. E senza dubbio meritata, se si considera come il rosso della Via Emilia è forse il primo vino derivante da un vitigno autoctono italiano, discendendo dalla vitis silvestris, una vite selvatica che per sua asprezza gli antichi romani ribattezzarono vitis labrusca.
Una nomea e un nome che non ne impedirono la diffusione e il successo, tanto che gli americani, in tempi non lontani, lo definirono il “red champagne”, per la sua caratteristica frizzante che lo rende un vino di per sé allegro e gioviale, ideale per la compagnia.
E così oggi il Lambrusco è il vino italiano più venduto, con oltre 400 milioni di bottiglie prodotte, nelle sue diverse caratteristiche e declinazioni, derivanti dai luoghi di provenienza delle uve e dalle modalità di produzione. Leggi il resto di questo articolo »
Rarità enoiche: il Moscato di Scanzo
Scanzorosciate è un piccolo comune della bergamasca, dove i dolci declivi disegnano il luogo di origine del Moscato di Scanzo DOCG. Prodotto con l’omonimo vitigno a bacca rossa, è sicuramente una chicca nel panorama viticolo italiano. Basti pensare che è la più piccola delle denominazioni di origine , con appena 31 ettari coltivati da una manciata di produttori.
Sebbene fino a pochi decenni or sono fosse a rischio di scomparsa, lo Scanzo dispone di una storia plurisecolare. Per risalire alla prima testimonianza scritta bisogna andare al 1350, quando venne menzionato nel testamento di Alberico di Rosciate. Sempre nel finire dello stesso secolo, lo troviamo nelle “Effemeridi” di Donato Calvi: ivi si racconta di come nel 1398 i Guelfi si impossessarono di 42 carri di Moscato rosso di Scanzo. Ebbe poi un grande successo negli anni a venire, tanto da esser stato dono da parte del grande architetto Giacomo Quarenghi alla zarina Caterina II di Russia.
Successivamente furono gli inglesi ad interessarsene, e a renderlo nel ‘700 uno dei vini più cari al mondo, quotato, unico vino italiano all’epoca, nella borsa di Londra nel 1850. Dopo un periodo buio, vediamo nascere nel 1993 il Consorzio di tutela e nel 2002 arriva il riconoscimento della DOC, che non basterà per la peculiarità di questo vino, tanto che nel 2009 otterrà la DOCG, una delle cinque presenti in territorio lombardo.
Interprete di riferimento di questa denominazione è sicuramente Manuele Biava. La sua azienda ha origine nel 1988, quanto ritira i vigneti del nonno. Fin da subito deciso a dare una sua interpretazione di questo territorio, avvia quella che è poi stata una rinascita di questa denominazione. Rinascita che parte da una piccola realtà di soli 3 ettari totali, di cui 2 coltivati a Moscato di Scanzo.
Condotta ad un regime di lotta integrata, sono vecchie viti quelle che per la maggior parte vanno a cesellare il vigneto, con un’età compresa tra i 50 e 75 anni, coltivati a pergola bergamasca, ed una piccola parcella più giovane di 17 anni, coltivata invece a Guyot.
I vigneti sono posti in quella che è considerata la culla della denominazione, nella parte più alta del Monte Bastia, immediatamente sotto la chiesetta che sovrasta la collina. A livello geologico a fare la differenza è il “Sas dè Luna” in questo areale. Trattasi di una formazione calcareo marnosa, di incredibile durezza e resistenza in sottosuolo, ma che una volta esposta al sole, si sgretola facilmente tra le mani, polverizzandosi. Un terreno, quindi, altamente minerale e di scarsa disponibilità idrica, che fanno la fortuna di questo territorio.
Un’attenta selezione delle uve e l’esperienza di Manuele in cantina fanno il resto. Numerosi i riconoscimenti in ambito nazionale dell’azienda, che l’hanno portata a diventare anche fornitore della Real casa d’Inghilterra.
www.jamesmagazine.it – 05/07/2020
Enoteca 17. Apre un’enoteca automatica ad Avezzano: come funziona
“L’idea è nata proprio durante il periodo più buio del covid”, ci raccontano Claudia Gialli e Maria Elena Cesareo, entrambe di origini marsicane, la prima fisioterapista e la seconda laureata in scienze giuridiche. “Ci siamo rese conto di quanto il settore del delivery fosse la salvezza per chi non ha molto tempo. Certo, nel periodo del lockdown ha rappresentato quasi un’imposizione, noi ci siamo fatte consegnare a domicilio di tutto! Dalla spesa alla colazione, alla cena, abbiamo spedito pure i regali di Pasqua tramite i servizi di delivery, e pensandoci è un bel deal per risparmiare tempo, a prescindere che in quel periodo, di tempo, ne avevamo in abbondanza”. Da qui è balenata l’idea di fornire un servizio di consegne di vino a domicilio. “Ad Avezzano e dintorni c’erano un po’ tutti i servizi, ma di fatto mancava il delivery del vino”.
Ma cos’è un’enoteca automatica? “Dopo l’entusiasmo iniziale ci siamo rese conto che non avrebbe avuto molto successo un servizio di sole consegne a domicilio, dunque il compromesso è stato quello di aprire un’enoteca automatica”. Dopo una serie di trattative ed eventi fortuiti hanno trovato il luogo che faceva al caso loro, “un’ex gioielleria in centro ad Avezzano, comunque raggiungibile in macchina, in modo tale che le persone possano facilmente parcheggiare, acquistare il vino e ripartire”. Il locale è stato ristrutturato interamente dai rispettivi mariti, utilizzando solo materiali di recupero. “L’idea di recuperare le cassette di frutta e verdura per fare gli interni ci è sembrata romantica, ma non è stata poi così romantica per Alessandro e Ilio, che hanno dovuto lavorare un mese per rendere le assi di legno funzionali allo scopo”. Fatto sta che ne è valsa la pena.
L’enoteca, con tutto che sarà automatica e dunque priva di addetto alla vendita, risulta accogliente e calda. Ma come funziona esattamente? “All’interno ci sono quattro distributori automatici, refrigerati con temperature separate. C’è l’anta con vini rossi, quella con i bianchi e i rosati, infine il distributore dedicato a bollicine, cocktail ready to drink e birra”. I distributori rappresentano praticamente la Ferrari dei distributori automatici, sono dell’azienda veneta Magex, e l’enoteca è dotata di una serranda automatica regolabile anche a distanza, così Claudia e Maria Elena non sono obbligate a recarsi lì di persona, anche se ovviamente monitorano tutto tramite telecamere. Leggi il resto di questo articolo »
Centocinquanta milioni di litri di vino diventano gel disinfettante
Centocinquanta milioni di litri di vino italiano diventeranno gel disinfettante o bioetanolo con il via libera alla distillazione di crisi. E’ quanto annuncia la Coldiretti nel commentare positivamente la pubblicazione sul sito del Ministero delle Politiche agricole dell’atteso decreto applicativo che permetterà di liberare spazio nelle cantine per la vendemmia in arrivo. La misura, finanziata dall’Unione Europea – ricorda Coldiretti – punta a fronteggiare da un lato la carenza di alcol italiano e dall’altro la profonda crisi del vino dove le vendite sono praticamente dimezzate durante il lockdown. In Italia la distillazione – precisa la Coldiretti – riguarda solo i vini comuni, al contrario della Francia, dove sarà possibile “trasformare” anche quelli a denominazioni di origine come lo champagne.
Una prima risposta alla crisi che – sottolinea Coldiretti – vede quasi 4 cantine italiane su 10 (39%) registrare un deciso calo dell’attività con un pericoloso allarme liquidità che mette a rischio il futuro del vino italiano dal quale nascono opportunità di occupazione per 1,3 milioni di persone, dalla vigna al bicchiere secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’. A pesare – sottolinea la Coldiretti – è stata la chiusura forzata della ristorazione avvenuta in Italia e all’estero con una forte frenata delle esportazioni dopo il record di 6,4 miliardi di euro nel 2019, il massimo di sempre, pari al 58% del fatturato totale. Colpita soprattutto – continua la Coldiretti – la vendita di vini di alta qualità che trova un mercato privilegiato di sbocco in alberghi e ristoranti in tutto il mondo.
Da qui l’impegno di Coldiretti a livello nazionale ed europeo con la proposta di un piano salva vigneti che, oltre alla distillazione volontaria di vini generici, prevede anche la vendemmia verde e riduzione delle rese su almeno 100.000 ettari per una riduzione di almeno altri 300 milioni di litri della produzione sui vini di qualità in modo da evitare un eccesso di offerta, considerate le conseguenze della pandemia sui consumi internazionali. Una boccata d’ossigeno per il settore – prosegue la Coldiretti – verrebbe anche dal taglio dell’Iva che è ora pari al 22% e da credito di imposta per i crediti inesigibili derivanti dalla crisi Covid – 19. Per far ripartire i consumi la Coldiretti ha inoltre lanciato la campagna #iobevoitaliano. Ma serve anche sostenere con massicci investimenti pubblici e privati la ripresa delle esportazioni con un piano straordinario di comunicazione sul vino che – sostiene la Coldiretti – rappresenta da sempre all’estero un elemento di traino per l’intero Made in Italy, alimentare e non.
L’Italia con 46 milioni di ettolitri si classifica davanti la Francia come il principale produttore mondiale con circa il 70% della produzione destinato a vini Docg, Doc e Igt con 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), e 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) e il restante 30% per i vini da tavola. Sul territorio nazionale – conclude la Coldiretti – ci sono 567 varietà iscritte al registro viti contro le 278 dei cugini francesi a dimostrazione del ricco patrimonio di biodiversità su cui può contare l’Italia che vanta lungo tutta la Penisola la possibilità di offrire vini locali di altissima qualità grazie ad una tradizione millenaria.
www.lapressa.it – 24/06/2020
Ecco il primo vino naturale in lattina: è “La Spettinata bianca” di Masseria La Cattiva
Ci voleva un birraio per il primo vino naturale in lattina d’Italia. Leonardo Di Vincenzo, fondatore di Birra del Borgo e tra i titolari della cantina Masseria La Cattiva di Sammichele di Bari, ha iniziato a commercializzare da qualche ora “La Spettinata bianca“, versione in lattina da 33 cl dell’omonimo rifermentato di Trebbiano in purezza.
Ebbene sì l’abbiamo fatto! La lattina ci ha sempre intrigato. Sarà perché ne amiamo la semplicità, o sarà perché è divertente e disinvolta come la Spettinata Bianca. Freschezza, mineralità e bollicine, fermentazione spontanea, zero solfiti aggiunti”.
Che i sette fondatori di Masseria La Cattiva fossero dei “bad boys” lo si è capito subito, dagli esordi. Ovvero da quel nome, scelto nel 2011, per marchiare il progetto enologico in Puglia: 3 ettari di vigneti, non lontani da Gioia del Colle.
Ci voleva un birraio per il primo vino naturale in lattina d’Italia. Leonardo Di Vincenzo, fondatore di Birra del Borgo e tra i titolari della cantina Masseria La Cattiva di Sammichele di Bari, ha iniziato a commercializzare da qualche ora “La Spettinata bianca“, versione in lattina da 33 cl dell’omonimo rifermentato di Trebbiano in purezza.
Ebbene sì l’abbiamo fatto! La lattina ci ha sempre intrigato. Sarà perché ne amiamo la semplicità, o sarà perché è divertente e disinvolta come la Spettinata Bianca. Freschezza, mineralità e bollicine, fermentazione spontanea, zero solfiti aggiunti”.
Che i sette fondatori di Masseria La Cattiva fossero dei “bad boys” lo si è capito subito, dagli esordi. Ovvero da quel nome, scelto nel 2011, per marchiare il progetto enologico in Puglia: 3 ettari di vigneti, non lontani da Gioia del Colle.
È l’ex stalla della Masseria, edificio con 300 anni di storia riportato in vita dai sette giovani, a ospitale l’uva e la sala per la fermentazione e la vinificazione. Qualcosa di nuovo per gli ex birrai, ma non del tutto.
“Da quell’esperienza – precisano i fondatori de La Cattiva – ci portiamo dietro un tesoro enorme fatto di tecnica e consapevolezza. Molti dei nostri vini saranno quindi un po’ fuori dagli schemi, sfuggiranno a facili categorizzazioni”
“Alcuni saranno forse difficili da comprendere – avvertono – ma in fin dei conti saranno unici e, cosa ancor più importante, saranno i nostri vini, espressioni autentiche della vigna e del nostro carattere”. Da ieri anche qualcosa di più, destinata a entrare nella storia. “Spettinata” e in lattina.
www.winemag.it – 17/06/2020
“Il vino dalla parte del cuore”, tra Mina e i Pink Floyd
“Il Vino dalla parte del cuore” è il titolo del volumetto edito da Curcu Genovese, scritto da Raffaele Fischetti.
Pugliese d’origine, da vent’anni a Bolzano, Fischetti è il presidente della Fondazione Italiana Sommelier Trentino Alto Adige, alla sua prima fatica letteraria che, lo spiega bene il titolo, parte parlando di vino ma finisce col trattare anche d’altro.
Quel vino che si depone nel cuore il quale ride di folle contentezza, spiega Fischetti, nella sua lunga cavalcata attraverso le regioni italiane dove nel corso degli ultimi diciotto anni ha consumato decine e decine di degustazioni, alcune delle quali finite in questo volume
Il vino dalla parte del cuore, anche perché la passione di Fischetti per il vino nasce a Merano nel lontano 2002, in occasione di un pranzo con una ragazza che poi sarebbe diventata compagna di vita. Un doppio colpo di fulmine, quindi, che riecheggia tutto nelle pagine di questo libro che non è inteso per un pubblico di specialisti, semmai, di specialisti che amano mischiare il vino alla letteratura, alla musica e ai ricordi che una degustazione porta con se.
“Bere in compagnia è la cosa più bella che ci sia”, raccontava un vecchio detto, e quando lo si fa con consapevolezza, moderazione e con l’intento di dare una connotazione storica, geografica e anche culturale a una bottiglia di vino, ecco che vengono fuori queste duecento pagine persistenti e ricche di eleganza da romanzo fiabesco.
E ovviamente, c’è molto della nostra terra, tra i ricordi enologici di Fischetti, con quei vini provenienti da cantine sparse su tutto il territorio provinciale, spesso dai nomi che riportano all’epoca feudale, per coltivazioni eroiche che si arrampicano sulle pendici delle Alpi. Leggi il resto di questo articolo »
Degustazioni all’aria aperta, trekking e “terapia del paesaggio”: come riparte il turismo del vino
Dopo più di due mesi di chiusura forzata, la ripartenza sarà un’occasione per ripensare tante dinamiche, economiche, sociali, e turistiche. Turismo del vino compreso: negli ultimi anni l’enoturismo è cresciuto, con sempre più visitatori internazionali attirati nei grandi territori del vino italiano, in cerca di esperienze sempre più originali e creative, con lo scopo di conoscere le tipicità del luogo, in termini di cucina tipica, e produzione enoica.
Così, sempre più cantine sono diventate anche luogo in cui accogliere i turisti, cosa che, però, per almeno qualche tempo, non sarà più possibile fare come fatto fino a prima della pandemia di Coronavirus. La riapertura sarà, quindi, un’occasione per ripensare il modo di fare turismo del vino, più organizzato e meno last minute, ma certamente non meno emozionante.
L’emergenza Covid-19, secondo un’indagine condotta dal Movimento Turismo del Vino in Italia, ha picchiato duro contro il turismo enogastronomico, ed in particolare con le cantine, che nell’87% dei casi si sono dichiarate molto danneggiate soprattutto in termini di vendita (91%) e di presenze dirette in cantina. Il settore enoturistico dunque, appare come uno dei più colpiti, con il 77% delle cantine che ha già messo in conto di dover compiere enormi sforzi per rientrare in carreggiata.
Tuttavia ripartire è possibile, con qualche novità che potrebbe portare ad una rivalorizzazione di aspetti ad oggi ritenuti secondari. Leggi il resto di questo articolo »
Prosecco rosé? Amen!
Per cause di forza maggiore, legate a Covid-19, mi trovo in uno sperduto ma accogliente paesino dell’Ungheria, ormai dal 7 marzo 2020. Da qui mi tengo in contatto con l’Italia tra mail, telefonate e degustazioni di vini che stanno arrivando dal Bel paese, complice il lockdown che ha stroncato fiere, viaggi stampa e appuntamenti in agenda. Che c’entra tutto questo con un editoriale che s’intitola “Prosecco rosé? Amen!“? Ve lo spiego subito.
Proprio ieri, a poche ore dalla pubblicazione della notizia del via libera alla modifica al disciplinare che autorizza la versione “rosa” dello spumante veneto-friulano, sono andato a fare la spesa. Nella corsia dei dolci, ho notato qualcosa di mai visto prima: quei geni della Ferrero si sono inventati il Kinder Bueno Coconut, ovvero al cocco!
Dirà qualcuno, di nuovo: che c’entra il Bueno col Prosecco? Mica parliamo di Asti Secco: quello sì, almeno, è piemontese come Ferrero (NB Si informa il Consorzio dell’Asti che nessun testimonial del Moscato d’Asti è stato maltrattato “in anticipo” per la realizzazione di questo editoriale). A mio avviso, tornando al punto, c’è invece una forte correlazione tra il Prosecco e un prodotto come il Kinder Bueno.
Dal momento che il Prosecco – a tasche piene di tutti, anche quelle dei detrattori – si è trasformato da semplice “spumante” a “fenomeno” e poi da “fenomeno” a “sinonimo” di qualsiasi cosa sia “vino con le bollicine“, la nascita della versione rosé sarebbe da considerare un’opportunità ulteriore, più che uno scempio della tradizione.
Restando nel campo largo della semantica, vi invito a porvi una domanda: “Prosecco”, nell’immaginario comune – non in quello dei professoroni del vino – è ormai più sinonimo di “industria” o di “territorio” del vino?
Secondo me, della prima. Un’industria che muove quasi mezzo miliardo di bottiglie all’anno – grazie anche ad investitori esteri, giunti in Veneto dalla Spagna del Cava (leggi Freixenet) non del Corpinnat – ha bisogno di diversificare, specie in un momento di crisi in cui l’avallo della versione rosé cade come manna dal cielo.
Del “fenomeno” Prosecco hanno giovato, giovano e gioveranno tutti. Basti osservare l’esplosione delle “bolle” prodotte con vitigni poco vocati agli sparkling e alla più recente mania dei “col fondo”, anche fuori dagli areali tradizionalmente inclini al pétillant.
Per di più, a giustificare l’istituzionalizzazione del Prosecco rosé all’interno di un contesto industriale, c’è anche la considerazione di tutti i fake che circolano da anni Leggi il resto di questo articolo »
Ostuni: la sommelier Lucia Leone racconta la Verdeca
Lucia Leone è responsabile commerciale dell’azienda agricola Masseria “Il Frantoio”, sommelier professionista, assaggiatrice e sommelier dell’olio. Da qualche anno fa parte dell’associazione “Donne del Vino” Puglia. In questo suo racconto ci presenta la Verdeca.
Quando si pensa alla vitivinicoltura pugliese, lo stile di vino che principalmente si associa è inequivocabilmente il rosso, con il Primitivo ed il Negroamaro che dominano la scena del panorama enologico.
Ma pensare questo è riduttivo perché in Puglia la produzione di vini bianchi è particolarmente attiva. Ed il vino bianco più celebre è sicuramente il Locorotondo che è stato tra i primi ad essere conosciuto fuori dai confini pugliesi. Sin dal 1969 i vini di Locorotondo sono riconosciuti Doc e i territori nei quali è permessa la produzione appartengono alle province di Bari e Brindisi.
Vitigno principe autoctono di questa denominazione è la Verdeca. Leggi il resto di questo articolo »
La Rioja vuole lo spumante, richiesta alla Ue la modifica del disciplinare
Sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea è stata pubblicata la domanda di modifica del disciplinare di produzione della DOP spagnola Rioja. Tra le varie modifiche richieste c’è l’aggiunta del vino spumante di qualità tra i prodotti protetti.
La Rioja intende sfruttare le potenzialità di mercato degli spumanti (“la «Rioja» non può lasciarsi sfuggire questa opportunità” si legge nella domanda di modifica al disciplinare).
“Con l’obiettivo di mantenere gli stessi standard qualitativi dei vini fermi – è scritto nell’atto europeo – l’intenzione è quella di creare un vino spumante di alto livello, da qui le restrizioni sulla resa e sul tenore di zuccheri (Brut, Extra Brut e Brut Nature).
’utilizzo del metodo di vinificazione classico e il periodo di affinamento minimo di 15 mesi ne sono la riprova”.
www.federvini.it/estero – 07/05/2020