Curiosità
Vino, nasce etichetta “Trabocco”, lo spumante d’Abruzzo doc
Il Consorzio da tempo ha intrapreso un percorso di valorizzazione delle bollicine prodotte da vitigni autoctoni.
Già nel 2010 con la nascita della Doc Abruzzo, il Consorzio ha voluto mettere a tutela gli autoctoni riscoperti e rigorosamente imbottigliati in regione, a partire da Pecorino e Passerina d’Abruzzo che si sono fin da subito dimostrati adatti anche alla spumantizzazione. Il disciplinare di questa Doc comprende fin da subito anche la tipologia Spumante vinificati in bianco o rosé, realizzati con metodo Italiano o Classico e con l’utilizzo di vitigni internazionali.
Il marchio collettivo “Trabocco”, è il simbolo della regione riconosciuto in tutto il mondo, che mira a valorizzare gli spumanti prodotti con Metodo Italiano in Abruzzo da uve autoctone quali Passerina, Pecorino, Trebbiano, Montonico, Cococciola e Montepulciano d’Abruzzo, caratterizzate da alta acidità̀ e bassa gradazione, due qualità che le rendono uniche e che donano eccellenti basi spumanti. “Le nostre uve sono naturalmente predisposte alla spumantizzazione e vi è ormai l’esigenza di portare sui mercati un prodotto totalmente abruzzese, realizzato con i nostri vitigni, vinificato e imbottigliato in regione e che porta con sé un nome estremamente identificativo” ha spiegato Alessandro Nicodemi, presidente del Consorzio Tutela vini d’Abruzzo durante il lancio del Marchio alla stampa, su un Trabocco.
“Da luglio dello scorso anno è stato infatti approvato il regolamento dell’utilizzo del marchio collettivo “Trabocco” che circoscrive la possibilità di utilizzarlo solo per spumanti prodotti con Metodo Italiano e uve autoctone”. Nell’attuale riorganizzazione dei disciplinari di produzione sono state introdotte alcune varianti che hanno aggiunto anche per la Doc Abruzzo o d’Abruzzo Doc la possibilità di specificare il vitigno di provenienza: Pecorino, Passerina, Montonico e Cococciola”, conclude Nicodemi.
https://www.ansa.it – 15/06/2023
Il vino della settimana: dal Sudafrica, il Pinotage che cresce fra giraffe e antilopi
A Stellenbosch, 50 chilometri da Città del Capo, splendida regione viticola, l’iconica azienda Neethlingshof, oggi del gruppo Le Grand Chais de France, ha creato una vera cantina-villaggio che fa della sostenibilità sociale e ambientale la sua mission. All’interno trovano spazio le case dei lavoratori, una scuola e un parco di 100 ettari sui 400 totali, laghi, alberi, piante tra i quali passeggiano gazzelle, antilopi, giraffe, zebre, fenicotteri, scimmie, suricati, con oltre 40 tipi di uccelli. In questo trionfo di biodiversità, nasce un Pinotage unico, incrocio di Pinot Nero, da cui prende l’eleganza, e Sanceau che gli dà forza e tannino generoso. Degustiamo l’annata 2021 con Enrico Scavarda, chef dell’enotavola Rossorubino di Torino. Frutto, spezia, grande bevibilità, uniti al calore sudafricano, in un gioco fra nuovo e vecchio mondo. Perfetto con carne alla griglia o patate al cartoccio ripiene.
https://video.repubblica.it – 15/06/2023
Dal lago d’Iseo riemergono 3.500 bottiglie di vino Nautilus
Una tradizione, un procedimento produttivo, uno spettacolo per, appassionati, turisti e curiosi. Dal 2010, anno in cui per la prima Alex Belingheri (titolare dell’azienda Agricola Vallecamonica di Artogne) decise di provare a far affinare nelle acque del lago d’Iseo alcune bottiglie di Metodo Classico, con l’inizio della stagione calda va in scena il «ripescaggio» del Nautilus. Si tratta di bottiglie di vino che riposano sul fondo del Sebino per non meno di quattro anni a 30/40 metri di profondità.
Quest’anno a Monte Isola, poco distante dalla frazione di Peschiera Maraglio, sono state riportate a galla 3.500 bottiglie di Metodo Classico 2018 dell’azienda agricola Vinivallecamonica. E dopo l’estrazione Belingheri è pronto a riporre sui fondali i vini del 2022: 8.500 bottiglie, 216 magnum e 20 jeroboam che verranno recuperate nei prossimi anni.
https://www.giornaledibrescia.it – 10/06/2023
Le Donne del vino in mostra
Le donne del vino si raccontano in una mostra fotografica itinerante aperta gratuitamente al pubblico intitolata le Indomite del Vino.
La mostra racconta le aspirazioni, le scelte e le fatiche delle donne del vino, che si confrontano quotidianamente con un settore in continuo movimento. È questo il tema portante di “Indomite del Vino”, un progetto di storytelling e ritratti fotografici, che si inaugura sabato 24 giugno presso la cantina Josetta Saffirio, diretta da Sara Vezza, una delle protagoniste di questa prima edizione, presso Monteforte d’Alba, in provincia di Cuneo.
Ideato e curato da Valeria Bugni (fondatrice del Wine Lady Club, ora impegnata in cantina), Claudia Ska (autrice) e Thomas Toti (fotografo), questa mostra aperta gratuitamente al pubblico, vede le professioniste del vino raccontarsi in un “canto libero”, che mette assieme l’arte visiva alla narrazione autobiografica.
La rassegna è composta dai ritratti di Sara Vezza, Elisabetta Foffani, Giordana Talamona, Sissi Baratella, Simona Geri, Francesca Auricchio e Valeria Bugni, realizzati da Toti e corredati dai racconti personali delle protagoniste. La mostra itinerante approderà anche in Friuli Venezia- Giulia, nella cantina di famiglia di Elisabetta Foffani, altra indomita, e a seguire in altre città italiane.
Enologhe, produttrici, comunicatrici, giornaliste, influencer e commerciali del vino, che rappresentano ancora una minoranza nel mondo vinicolo. Secondo Coldiretti le donne impiegate nel mondo vitivinicolo rappresentano oggi solo il 30% del totale, una cifra ancora bassa, auspicabilmente destinata a salire.
Indomite del Vino vuole essere un’occasione per dare una voce e un volto alle donne che lavorano in questo ambito, che fanno fatica a farsi spazio, ma anche a coloro che hanno raggiunto i proprio obiettivi, nonostante abbiano dovuto combattere di più rispetto gli omologhi uomini. Dalle interviste alle protagoniste di questa prima edizione è emersa a più riprese la parola dimostrare: dimostrare di essere all’altezza, di essere abbastanza, di essere tenaci. Le Indomite del Vino rivendicano, quindi, di avere le qualità necessarie per fare il proprio lavoro, senza più doverle rimarcare quotidianamente.
Sebbene le discriminazioni di genere non siano così marcatamente diverse tra questo settore e altri, per tradizione quello vinicolo è un ambiente maschile e maschilista, con una forte impronta patriarcale e patrilineare. Indomite del Vino ha deciso di puntare i riflettori, quindi, sulle donne che con la loro competenza e passione stanno cambiando l’industria, grazie anche all’uso innovativo e originale di nuove tecnologie.
L’inaugurazione della mostra fotografica sarà il 24 Giugno 2023 dalle 10.30 alle 17.00.
https://corrieredelvino.it – 07/06/2023
“Vino cancerogeno? Non è scienza”. Giorgio Palù affossa la Viola
La posizione del presidente di Aifa nei confronti degli attacchi contro il vino: “Mi pare che ci stiamo suicidando di politicamente corretto”
Mentre prosegue la crociata contro il vino dell’immunologa Antonella Viola, arriva la decisa smentita del presidente di Aifa Giorgio Palù. Intervistato da Libero Quotidiano, il professore afferma senza mezzi termini che andare ad affermare certe cose sul vino, ossia che è cancerogeno, non è di fatto scienza.
“La salute è una questione olistica, dipende dalla genetica, dall’ambiente, dalla nutrizione, dagli stili di vita, dalla socialità, dalla storia personale”, osserva Palù. “E la medicina non è propriamente una scienza esatta, anche quando adotta il metodo scientifico: procede per tentativi ed errori e si basa su studi clinici che quasi sempre abbisognano di conferme”, aggiunge.
Fatta tale premessa, il professore entra nel dettaglio: “Si fa un gran parlare di scienza medica senza riconoscere i limiti intrinsechi e i valori di certi studi osservazionali. Lo abbiamo visto con il Covid, con le suggestioni predicate negli ambienti no-vax e con certe affermazioni sugli effetti dannosi del vino”.
Parlando dell’Irlanda, Palù lancia la provocazione: “E con la birra Irlandese come la mettiamo? Alcol per alcol….?”. In effetti il ragionamento non fa una piega. Le autorità intendono per caso etichettare anche la loro birra? Oppure quella è più salutare? “Mi pare ci stiamo suicidando di politicamente corretto, inseguiamo totem e pregiudizi individuali che ci creiamo senza fondamenti scientifici e sui quali poi ostinatamente ci riconosciamo rinnegando perfino la nostra storia e le nostre tradizioni”, osserva.
Il vino fa parte della nostra storia, della nostra cultura. È parte integrante della classica tavola italiana. Rinnegarlo è rinnegare la nostra storia. Ne è convinto il presidente di Aifa, che vede gli attacchi rivolti contro la bevanda come un respingimento “della nostra cultura artistica, letteraria, musicale perfino quell’identità religiosa per cui il vino si trasforma in momento di comunanza umana e in simbolo di trascendenza divina”.
“Che il vino possa nuocere alla salute è una questione di dosi”, passa poi a spiegare. “Esso contiene, oltre all’alcol, alcuni preziosi elementi nutrizionali dotati di effetti farmaceutici benefici per esempio anti-ossidanti, antonciani, fenoli, resveratrolo, vitamine che proteggono dai radicali liberi, le molecole che generano infiammazione e a lungo termine il cancro”, aggiunge.
Ci sono studi, passa poi a elencare il professore, che dimostrano come bere un paio di bicchieri di vino rosso al giorno, dopo i trent’anni, apporti dei benefici. Palù cita anche il medico svizzero del ’500 Teofrasto von Hohenheim, meglio noto come Paracelso, il quale affermava che ogni sostanza contiene in sé un veleno, il segreto risiede nella quantità.
“Il vivere sano impone moderazione in tutte le nostre azioni”, conclude il presidente di Aifa. “In medio stat virtus. Gli studi che attaccano il vino, giudicandolo letale anche in piccole quantità, sono osservazionali, non hanno la dignità scientifica di studi controllati, prescindono, causa pregiudizi di selezione, da elementi cruciali come lo stile di vita, l’alimentazione, il fumo, la massa corporea, la predisposizione genetica”.
https://www.ilgiornale.it – 25/05/2023
I vini più in ascesa al mondo vengono dalla Germania
Chi l’avrebbe detto, secondo un’inchiesta del The Guardian, negli ultimi due anni il singolo paese produttore di vino che più ha migliorato la qualità della propria produzione è la Germania. I vigneti che costeggiano le ripide colline lungo i fiumi Reno e Mosella sono rinomati per essere il luogo di origine di alcuni dei vini bianchi più pregiati e più longevi del mondo, ma oltre a queste nicchie, il paese teutonico offre molto di più. Diamo un rapido sguardo alla storia, alla geografia e ai vitigni che fanno della Germania uno dei paesi vinicoli più interessanti da scoprire oggigiorno.
Quando si parla di regioni vinicole pregiate, la Germania non è tra le prime che vengono in mente. Francia, Italia, Spagna, sono i soliti nomi noti che balzano alla mente. Tuttavia la Germania ha una storia enologica lunga e degna di nota, molto simile a quella della Francia nei suoi inizi. I Romani furono i primi a riconoscere che i ripidi pendii che si affacciano sul fiume Mosella e sui suoi affluenti erano il terroir ideale per piantare la vite. Durante il Medioevo, i monaci cistercensi e benedettini ebbero un ruolo cruciale nello sviluppo e nella produzione di vino di qualità in molte regioni vinicole tedesche, proprio come fecero in Borgogna e nel resto della Francia. Tuttavia nel XVII secolo l’interesse per il vino iniziò a declinare, soprattutto a causa della crescente popolarità della birra, specialmente nel nord del paese.
La fine del XVIII secolo vide la nascita dei vini dolci di alta qualità da “vendemmia tardiva”. Questi vini, chiamati Spatlese, Leggi il resto di questo articolo »
Vino e marijuana: ecco il cannawine, in California illegale ma popolare
Cannawine: il nome lascia poco spazio all’immaginazione. Con la legalizzazione della cannabis terapeutica e ricreativa nella gran parte degli Stati Uniti e in tutto il Canada, si è assistito a una proliferazione di prodotti di vario genere a base di marijuana confezionati e venduti. Questo fenomeno ha investito anche il mondo del vino, in particolare nelle regioni produttrici della costa occidentale, dove l’espansione della coltivazione e produzione della marijuana ha fatto tornare di moda il binomio tra vino e cannabis. Ma la storia dei cannawine, che stanno vivendo un nuovo periodo di gloria, parte da più lontano, ovvero dalla California hippie degli anni ’70.
Il vino con cannabis – o in modo più simpatico cannawine – è proprio una nuova tipologia di vino (se così possiamo definirla) in cui l’erba viene aggiunta alle uve durante la fermentazione in cui si sprigionano i componenti attivi della cannabis insieme ai sapori e agli aromi – un po’ come succede con i più famosi brownies alla marijuana – andando a creare una bevanda che oltre a essere alcolica ha anche effetti stupefacenti.
Ma come avviene nello specifico il procedimento? Sebbene il metodo sia semplice, permette innumerevoli variazioni a seconda dell’intento e della voglia di sperimentare dei vignaioli. La cannabis viene aggiunta al succo d’uva nel momento in cui inizia a fermentare, il calore stimola l’emissionede principi attivi, ovvero il THC, che causa l’euforia, e il CBD, che invece ha un effetto rilassante.
Oltre a questo metodo appena descritto, esiste una seconda opzione per creare il cannawine: i vignaioli possono lasciare la marijuna in infusione nel succo prima che inizi la fermentazione, oppure permettere al vino di invecchiare sui fondi di cannabis dopo la fermentazione stessa. Leggi il resto di questo articolo »
Il calice di vino va scelto e maneggiato con cura: ecco come e perché
Quali sono i calici più adatti per servire vini rossi, bianchi o spumanti? Chiariamo subito che il bicchiere dell’acqua (Tumbler) alto o basso che sia va bene per bere acqua, appunto, o piacevoli drink come ci insegna la grande scuola della mixology, molto ben rappresentata dai nostri barman in tutto il mondo. Ma è bandito per il servizio del vino!
Il vino si serve rigorosamente nel calice, ovvero il bicchiere alto, quello con lo stelo e si maneggia dallo stelo, appunto, non dalla coppa. La mano sulla coppa scalda il vino con un gesto orribile che lascia impronte sul vetro. Insomma, non si fa e con l’aggravante del dito mignolo alzato diventa una vera e propria cafonata.
Ma quali sono i calici più adatti al servizio del vino? E soprattutto come sceglierli per uso domestico, ad esempio, senza accendere un mutuo? Anzitutto oggi le dimensioni dei calici sono sufficientemente importanti da poter sostituire quasi sempre il decanter (un bell’oggetto, ma costoso e che utilizzo quasi mai).
Tuttavia l’importanza del bicchiere è fondamentale. Ogni vino ha caratteristiche organolettiche differenti, quindi – a voler fare i bravi scolaretti – sarebbe meglio utilizzare un calice adatto che le esalti appieno. Esistono quelli da Chardonnay, quelli da Bordeaux, da Nebbiolo o da Borgogna (solitamente uguali). E poi c’è chi beve gli spumanti in coppa, chi nella flûte e chi predilige il classico calice da Chardonnay
Oggi si sta diffondendo l’abitudine di usare un solo tipo di bicchiere di dimensioni importanti in cui versare tutte le tipologie di vino, spumanti compresi. Ve lo descrivo al volo. Si tratta di un calice medio a “tulipano” che però non ha un nome vero e proprio. Le pareti tendono a chiudersi verso l’alto (o perlomeno si avvicinano) e, pertanto, consentono la percezione – anzi la facilitano – delle sostanze volatili. È la scelta che consiglio, in quanto utile e poco dispendiosa.
https://www.ilsole24ore.com – 20/05/2023
Vino Amarone, pace fatta tra Consorzio Valpolicella e Famiglie storiche
“Il Consorzio per la Tutela dei Vini Valpolicella e la società Famiglie Storiche comunicano di avere definito ogni contenzioso tra loro pendente, avente ad oggetto l’utilizzo della Docg (Denominazione origine controllata garantita, che vale per i vini doc più prestigiosi) ‘Amarone della Valpolicella’.
Consorzio e Famiglie Storiche condividono l’obiettivo di agire, ciascuno per quanto di propria competenza, per lo sviluppo della Docg ‘Amarone della Valpolicella’ e delle altre denominazioni della Valpolicella, favorendo un clima di equa competizione tra produttori, rispetto reciproco, collaborazione e dialogo; ribadiscono l’importanza della difesa della Docg ‘Amarone della Valpolicella’ e delle altre denominazioni del territorio e della loro promozione in Italia e all’estero, con l’obiettivo di favorire la loro conoscenza e di consolidarne il successo, nell’interesse di tutta la collettività”.
E’ quanto si legge in una nota congiunta a firma di Christian Marchesini per il Consorzio Tutela Vini Valpolicella e di Pierangelo Tommasi per Famiglie Storiche.
https://www.ilrestodelcarlino.it – 18/05/2023
Vino, proposta Docg unica per lo Zibibbo di Pantelleria
Si è conclusa a Pantelleria la tre giorni di incontri sul futuro vitivinicolo e agricolo dell’isola dal titolo “Zibibbo è Pantelleria”.
Oltre 30 gli interventi che si sono succeduti nei diversi momenti di confronto organizzati dal Comune.
Un’iniziativa voluta dal sindaco Vincenzo Campo per promuovere i prodotti e le bellezze dell’isola vulcanica, ma soprattutto per difendere lo Zibibbo, vite da sempre coltivata dai vignaioli panteschi. Oggi il nome Zibibbo figura come vitigno o sinonimo di Moscato nell’etichetta della Doc Sicilia e Igt Terre Siciliane ma non nella Doc Pantelleria.
Tra le tante proposte, anche concrete, la più significativa è quella di lavorare ad una Docg Pantelleria Zibibbo, che comprenda l’intera produzione dell’isola. Spetta adesso ai viticoltori e piccoli imbottigliatori panteschi trovare un’unità di intenti e lavorare per la rinascita del vino locale. Una sponda possono trovarla nell’associazione formata da vip e amici dell’isola che hanno scelto Pantelleria come buen retiro, ma anche in chi, durante la tre giorni, si è offerto di fare una ricerca e sperimentazione di ceppi di zibibbo antico e chi di lavorare ad una zonazione innovativa. Il sindaco Campo ha ricordato i 52 milioni di euro in arrivo grazie al Pnrr.
“Non è una battaglia per il solo vitigno e vino di Zibibbo” ha sottolineato Giampietro Comolli, uno dei più grandi esperti negli anni di consorzi e vini Doc chiamato dal sindaco a stimolare sui temi del dibattito. “E’ la difesa di una produzione che identifica Pantelleria nel mondo. Senza Zibibbo, senza vigne, c’è l’abbandono delle terre. Delocalizzare lo Zibibbo vuol dire incentivare un lento declino produttivo economico vitale a vantaggio di pochi imprenditori non panteschi”.
I piccoli produttori oggi divisi fra associati a Consorzio, associati a Pantelleria Enoica e anche quelli non aderenti a nulla intendono percorrere la strada di una sola “Docg” autonoma, con sede sull’isola. Ovviamente in questo caso confluirebbero dentro un unico Consorzio di Tutela.
https://www.ansa.it/sicilia – 10/05/2023