Degustazioni
Vino e cucina cinese: gli abbinamenti del sommelier per non sbagliare
Come abbinare vino e cucina cinese? La cucina tradizionale cinese è molto variegata e comprende tante cucine tipiche regionali. Ecco perché gli abbinamenti non sono così scontati così si potrebbe immaginare, ma è facile incorrere in errori che possono rovinare l’esperienza enogastronomica al ristorante. La scelta risulta ancora più difficoltosa se si considera che i cinesi non bevono mai vino come accompagnamento dei pasti, ma sempre tè o acqua. Spesso sono le zuppe a ricoprire il ruolo di “bevanda” durante un pranzo. Per non parlare della presenza delle spezie e degli aromi particolari dei piatti che vanno sempre considerati in virtù di un abbinamento col vino. Quali sono i consigli del sommelier? Scopriamoli insieme.
L’abbinamento ideale, quello classico, per chi vuole andare sul sicuro è un calice di buon vino bianco aromatico e morbido. La maggior parte delle persone che mangiano abitualmente al ristorante cinese opta per il Gewürztraminer come vino in abbinamento. Se sono piatti dai sapori non particolarmente speziati e dalla tendenza untosa o grassa potete anche scegliere di abbinarci il Sauvignon o il Viognier. Nulla vieta di abbinarci un rosato, anche se si preferisce sempre un vino bianco per la cucina cinese.
Se siete amanti dei rossi, potete optare per un calice di elegante Pinot nero, soprattutto se si tratta di uno stufato o un piatto a base di carne o di ravioli cotti al vapore. C’è anche la possibilità di abbinare il Chianti o comunque un vino a base di Sangiovese.
Per le zuppe, pasta o noodles meglio abbinare un vino bianco fresco, profumato e fruttato, come Fiano, Arneis o Müller-Thurgau. Attenzione però a considerare sempre non solo la base del piatto cinese che andrete a degustare bensì anche gli ingredienti e le spezie che lo caratterizzano.
Nei piatti dal sapore agrodolce attenzione alla scelta del vino: se siete indecisi meglio optare per le bollicine. Se volete scegliere un’unica bottiglia per accompagnare un intero pranzo o cena al ristorante cinese, senza considerare le singole pietanze e gli abbinamenti singoli, allora vi consigliamo sempre un vino bianco e aromatico (ecco perché tutti ordinano sempre il Gewürztraminer.
https://www.wineandfoodtour.it – 02/01/2024
Ca’ del Bosco ritorna al futuro e festeggia la nuova cantina con un vino di 42 anni
Ca’ del Bosco ritorna al futuro. Lo fa attraverso la porta della sua storia, del suo territorio, delle sue persone. Lo fa in questi giorni stappando una bottiglia che porta sull’etichetta più di quarant’anni di vita e, sotto il tappo, la passione, la cura, la filosofia, l’amore che Maurizio Zanella ci ha messo, ci sta mettendo e metterà nella maison di Erbusco arrivata al traguardo delle 52 vendemmie e che – «dopo decenni di muratori, ingegneri, architetti e notai» giusto per dirla con le sue parole – completa oggi il suo definitivo ampliamento.
La scommessa iniziata nel 1968, quando fu piantato il primo vigneto, nel 2023 è una realtà – solidissima e pluripremiata dal pubblico – che si misura in 280 ettari (quasi il massimo raggiungibile). Ca’ del Bosco oggi tocca undici dei diciannove comuni della Franciacorta e diventa custode di una porzione decisiva del territorio.
In tutti questi anni lo sviluppo dei vigneti è stato accompagnato dall’ampliamento degli spazi in cantina, arrivata ora alla sua definizione finale. Ca’ del Bosco 2.0 (come l’ha definita Maurizio Zanella) ora può contare su una nuova reception, caratterizzata da una simbolica forma ad anello con al centro una quercia. Attraverso il nuovo tunnel della Vintage Collection, caratterizzato da giochi di luce e da prospettive a perdita d’occhio, con i caveaux delle riserve di Franciacorta e i caveaux nella cupola storica dedicati alle cuvée Annamaria Clementi, la maison conduce il suo visitatore tra le sue ere antica e moderna, mentre grazie alla nuova cupola multisensoriale può consentirgli un’esperienza immersiva scandita da profumi, suoni e sostanza che sono l’essenza dei suoi vini e della sua pluridecennale storia.
Nella nuova Ca’ del Bosco – Leggi il resto di questo articolo »
Il rito antico che lega l’Alto Adige al vino nuovo
L’autunno in Alto Adige ha un profumo definito, quello del vino nuovo: mentre il paesaggio cambia e si colora di sfumature dalla calda dolcezza, le tradizioni più antiche riprendono vita e si perpetuano nel volgere della stagione. Così ogni anno si celebra il rito del Törggelen: il termine deriva dal latino torquere, torcere, con riferimento al torchio in legno usato per la spremitura dell’uva nelle cantine. E dai primi di ottobre fino all’inizio dell’Avvento in Alto Adige le porte dei masi si spalancano per accogliere nelle stuben (quei caratteristici locali dominati da una grande stufa, dalle pareti rivestite in legno) chi vuole assaggiare il nuien, il vino nuovo, e il siaße, il mosto d’uva.
Il clima è quello di una festa, e le bevande sono accompagnate da ottimo cibo locale. Le cantine e i Buschenschank, le tipiche osterie contadine, si animano dei sapori della cucina locale: le mezzelune ripiene, i crauti e i canederli anticipano il gran finale con le caldarroste, servite ancora calde con burro e con gli immancabili krapfen, deliziosi dolci fritti farciti con marmellata di papavero, di albicocche o di castagne. La passeggiata per muoversi in una sorta di pellegrinaggio da un’osteria all’altra è parte del rito, che può durare anche un’intera giornata tra boschi e coltivi: l’aria frizzante mette fame, il movimento aiuta e i colori della stagione incantano.
Si tratta di una tradizione antica, che risale probabilmente al medioevo, Leggi il resto di questo articolo »
Il primo vino in brick nel mondo spegne 40 candeline
Ci sono compleanni speciali, cifre tonde che segnano traguardi raggiunti, ricordando momenti indimenticabili. Quarant’anni sono un avvenimento importante che il Tavernello, il vino più bevuto d’Italia e uno dei marchi più conosciuti, ha festeggiato con una serata speciale allo stabilimento Caviro di via Zampeschi, a Forlì.
Era il 1983 quando Caviro, cooperativa agricola nata a Faenza per valorizzare la produzione vinicola locale, portò il Tavernello sul mercato. E’ stato il primo vino in brick del pianeta, un prodotto destinato a rivoluzionare per sempre il modo di intendere il vino, oggi esportato in oltre 40 paesi nel mondo.
Il Gruppo Caviro, realtà che oggi rappresenta 11.650 soci e 37.000 ettari vitati per un totale di 600.000 tonnellate di uva prodotta (l’8,5% della produzione nazionale), ha scelto di celebrare questo traguardo a Forlì, città che ospita le Cantine di Caviro. Gli ospiti hanno potuto degustare vini attraverso il Tavernello ForTy Party, ma anche vedere come nascono attraverso visite guidate alla cantina. Gran finale con lo spettacolo del comico Raul Cremona.
La serata, che si è svolta in un’ampia area verde, fiore all’occhiello della sede, aveva l’obiettivo di far conoscere alla comunità locale tutto il mondo che ruota intorno a Tavernello, a partire dall’attività della cantina sino ad arrivare ai tanti vini Caviro.
https://www.forlitoday.it – 08/09/2023
La maratona più golosa del mondo
42 chilometri di corsa assaggiando ostriche, vino e formaggi.
La goliardica Marathon des Châteaux du Médoc attraversa la regione vinicola francese ed è giunta alla 37esima edizione. Diecimila partecipanti e, lungo il percorso, 23 stand per le degustazioni
Immaginate Batman, Capitan America, Marylin Monroe, oppure Ratatouille ed Elton John con una pettorina da gara correre per oltre 42 chilometri. E destreggiarsi, oltre che con le scarpette da corsa, anche con vino, ostriche e manicaretti di ogni genere.
Sono i supereroi, in più di un senso e non solo figurato, della Maratona del Medoc. L’unica corsa al mondo che oltre alla competitività sportiva – decisamente non la protagonista – ha come ingredienti fondamentali l’amicizia, la goliardia e la gastronomia.
https://www.repubblica.it – 31/08/2023
Vini dell’Etna, una sorpresa tutta da scoprire: eleganti a nord, intensi a sud
La storia dei vini dell’Etna è antica e al tempo stesso recente: è solo dagli anni ’90, infatti, che sono stati riscoperti e recuperati vigneti che erano stati abbandonati nel corso del ‘900, all’epoca del boom industriale.
Ma è importante sapere che i vini dell’Etna hanno caratteristiche ben diverse a seconda del versante (nord o sud) da cui provengono le uve con cui sono prodotti.
Se infatti le varietà d’uva autoctone dell’Etna, principalmente il Nerello Mascalese e il Nerello Cappuccio, sono predominanti sia sul versante nord che su quello sud, i vini ottenuti da queste uve presentano caratteristiche differenti (e uniche) a seconda delle zone di provenienza. Riflettendo le diverse influenze climatiche e geografiche, dal momento che il terreno e il clima giocano ruolo fondamentale nella loro formazione.
Il versante nord gode di una maggiore esposizione alle fresche brezze marine provenienti dal Mar Ionio. Questo contribuisce a temperature più moderate e a una maturazione più lenta delle uve. I terreni vulcanici, ricchi di minerali, conferiscono ai vini del versante nord una nota di mineralità e una struttura elegante. Ne risultano prodotti che tendono a essere più sottili, con una struttura delicata e un’elevata acidità. Questi vini possono offrire aromi di ciliegia, fragola e note terrose, con un tocco minerale.
D’altro canto, il versante sud Leggi il resto di questo articolo »
Vino argentino conservato in una botte per quasi 100 anni è oggi un gioiello storico
Nei primi decenni del Novecento, produrre vino in Argentina era un mestiere nobile. Come riferisce El Clarin, poco si sa sui nomi che ci sono dietro alle bottiglie più antiche e più pregiate che oggi si trovano in alcune cantine. Tuttavia, molti di quei pionieri, senza volerlo e senza saperlo, hanno fatto la storia.
Quest’anno, per esempio, un Semillón del 1959 di Bodega Norton a Mendoza ha ottenuto l’ambito punteggio massimo di 100 punti dal critico James Suckling.
Un bianco, e Semillón, che invecchia così non è però l’unico. Lo sa bene l’enologo Gerardo Michelini che nel 2015 ne ha scoperto uno in un modo che descrive come «un miracolo». Come molti altri colleghi, acquista uva da viticoltori di fiducia per produrre alcuni dei suoi vini. Ha conosciuto così Hugo Manoni, 84 anni, proprietario di una fattoria a Tupungato, Mendoza, con vigneti che sono stati piantati nel 1890.
Hugo, che è alla terza generazione di viticoltori, e gli ha raccontato che nella sua casa conservava una vecchia botte di legno di castagno che custodiva un Semillón fatto da suo nonno. «È il mio tesoro più prezioso», sono state le parole di «don Hugo», come viene chiamato Manoni.
La curiosità di Gerardo si è subito scatenata e gli ha chiesto di provarlo.
«Don Hugo ha fatto sigillare la botte in modo che nessuno potesse aprirla. Abbiamo organizzato un’intera operazione per poter estrarre con cura il vino e assaggiarlo, ed è stata una rivelazione. Ho provato una grande emozione. Ad essere sincero, non ho mai assaggiato un vino più ricco in nessuna parte del mondo», ha raccontato Michelini.
Da quel momento Gerardo ha cominciato a desiderare di averne una bottiglia, e Manoni gli ha concesso questo piacere. Così, la famiglia Michelini-Mufatto, tutti viticoltori, ha intrapreso l’accurato processo di travaso in casa propria dei 40 litri in piccole bottiglie da 350 ml che oggi sono diventate oggetti da collezione.
Il vino oggi porta l’etichetta A merced del tiempo – In balia del tempo – e, facendo due conti, è stato calcolato che il nonno di Don Hugo lo produceva nel 1923, quindi è un esemplare centenario. Non è però in vendita, e pochissimi fortunati hanno avuto il piacere di assaggiarlo.
https://www.ilmattino.it – 10/08/2023
Può esistere il vino senza l’alcol?
L’etanolo (o alcol etilico) è un alcol a catena alchilica lineare, la cui formula di struttura condensata è CH3CH2OH. È anche chiamato semplicemente alcol, essendo alla base di tutte le bevande alcoliche. In chimica, si può trovare anche abbreviato con la sigla EtOH. E fin qui, parliamo di scienza. Ma se il discorso si trasferisse su un altro piano, più filosofico?
Parlando con qualche collega, è sorta una domanda su cui sto ragionando da tempo: il vino sarebbe così interessante se non fosse alcolico?
Se in un mondo parallelo potessimo produrre vino con la stessa ampiezza di gusti e specificità attuali e con tutte le caratteristiche di adesso, se non contenesse alcol sarebbe lo stesso così interessante? È una domanda puramente teorica, ovviamente, ma su cui ha senso interrogarsi. E la risposta non è affatto banale.
Il vino ha l’alcol, e grazie a questa presenza ha un effetto vasodilatatore, miorilassante su di noi, sui nostri nervi e sul nostro cervello. L’alcol, però, ha anche un effetto tossico specialmente su alcuni dei nostri organi e su questo non possiamo che essere tutti concordi. Ma l’alcol è anche un “trasportatore“ di aromi: tende a esaltare alcuni degli aromi e a traghettarli al nostro naso. Succede con la dolcezza, la densità e il calore del vino. In più, dà complessità.
Inoltre, l’alcol agisce da conservante: senza, il vino non avrebbe questa conservabilità e non potrebbe invecchiare così a lungo nel tempo. Per conservarsi infatti, le bevande senza alcol necessitano di una pastorizzazione, di una filtrazione sterile o entrambe: ma se intervenissimo così sul vino andremmo a distruggere e a denaturare tantissime sostanze presenti nel nostro bicchiere, soprattutto in un non filtrato, che è in equilibrio ma in costante evoluzione.
Escludendo quindi la complessità, la territorialità, il modo di fare il vino, la tradizione che ci sta dietro, io sono per il no: senza alcol, il vino non avrebbe senso di esistere.
https://www.linkiesta.it – 26/06/2023
Il calice di vino va scelto e maneggiato con cura: ecco come e perché
Quali sono i calici più adatti per servire vini rossi, bianchi o spumanti? Chiariamo subito che il bicchiere dell’acqua (Tumbler) alto o basso che sia va bene per bere acqua, appunto, o piacevoli drink come ci insegna la grande scuola della mixology, molto ben rappresentata dai nostri barman in tutto il mondo. Ma è bandito per il servizio del vino!
Il vino si serve rigorosamente nel calice, ovvero il bicchiere alto, quello con lo stelo e si maneggia dallo stelo, appunto, non dalla coppa. La mano sulla coppa scalda il vino con un gesto orribile che lascia impronte sul vetro. Insomma, non si fa e con l’aggravante del dito mignolo alzato diventa una vera e propria cafonata.
Ma quali sono i calici più adatti al servizio del vino? E soprattutto come sceglierli per uso domestico, ad esempio, senza accendere un mutuo? Anzitutto oggi le dimensioni dei calici sono sufficientemente importanti da poter sostituire quasi sempre il decanter (un bell’oggetto, ma costoso e che utilizzo quasi mai).
Tuttavia l’importanza del bicchiere è fondamentale. Ogni vino ha caratteristiche organolettiche differenti, quindi – a voler fare i bravi scolaretti – sarebbe meglio utilizzare un calice adatto che le esalti appieno. Esistono quelli da Chardonnay, quelli da Bordeaux, da Nebbiolo o da Borgogna (solitamente uguali). E poi c’è chi beve gli spumanti in coppa, chi nella flûte e chi predilige il classico calice da Chardonnay
Oggi si sta diffondendo l’abitudine di usare un solo tipo di bicchiere di dimensioni importanti in cui versare tutte le tipologie di vino, spumanti compresi. Ve lo descrivo al volo. Si tratta di un calice medio a “tulipano” che però non ha un nome vero e proprio. Le pareti tendono a chiudersi verso l’alto (o perlomeno si avvicinano) e, pertanto, consentono la percezione – anzi la facilitano – delle sostanze volatili. È la scelta che consiglio, in quanto utile e poco dispendiosa.
https://www.ilsole24ore.com – 20/05/2023
In Abruzzo la prima fontana di vino in Italia
L’idea è stata lanciata nel 2016 ma ultimamente se ne sta parlando sul web. Storie Instagram e contenuti raccontano qualcosa di magico, quasi rituale: la Cantina Dora Sarchese di Ortona, in Abruzzo, che accoglie i propri visitatori con una fontana da cui sgorga vino rosso Montepulciano.
La fontana, è una sorta di monumento al vino d’Abruzzo. Precisamente si trova a Villa Caldari, una frazione di Ortona che è in provincia di Chieti. Ma le sue radici sono lontane dall’Italia.
L’idea della realizzazione nasce sì da Dina Cespa e Luigi Narcisi, ortonesi doc promotori del Cammino di San Tommaso. Ma pare che la coppia, appassionata di percorsi di tutto il mondo sia stata ispirata a un qualcosa di simile visto in Spagna.
Dove? Lungo il Cammino di Santiago, precisamente, a Estella, in Navarra, avevano visitato infatti una cantina che aveva istallato una fontana di vino. Sembra fosse la prima al mondo.
Il passo successivo è stato chiedere a Nicola D’Auria, della Cantina Dora Sarchese, di realizzare la fontana del vino proprio in Abruzzo, lungo il percorso che collega Roma con Ortona. Il progetto è stato accolto subito con grande entusiasmo.
L’opera, così, è stata affidata all’architetto Rocco Valentini che l’ha realizzata utilizzando una botte molto antica da 50 ettolitri. Ha spiegato D’Auria, che per la fontana sono stati utilizzati materiali di recupero.
L’idea dietro l’opera è che le persone entrino all’interno per prendere il vino, che proviene da un serbatoio interrato da tremila litri. Chiunque può servirsi gratuitamente con un bicchiere o un calice. Oggi la fontana è una vera e propria attrazione turistica ed è l’occasione per visitare Ortona e la Costa dei Trabocchi. Terra che offre numerose attrattive, oltre a diverse soluzioni per l’enoturismo.
https://www.innaturale.com – 14/04/2023