Degustazioni
L’arte del vino bianco di Lomellina
Per completare il ricco panorama enologico di una regione di grande vocazione come il Piemonte, è necessaria una visita ai dintorni di Alessandria. Qui, oltre a riscoprire una bella – e ingiustamente misconosciuta – zona della Penisola, si può familiarizzare con il concetto che, oltre a rossi apprezzati in tutto il mondo, la Regione pedemontana regala bianchi di valore assoluto. Un esempio per tutti è proprio il Gavi.
Prodotto da uve Cortese, semplificando si potrebbe dire che il Gavi è tutto quello che il Barolo non è, mentre in realtà si tratta di ideali compagni di squadra. La famiglia Broglia è qui, a Lomellina di Gavi, fin dal 1972, ovvero da quando l’imprenditore tessile Bruno acquistò questi 100 ettari, di cui 65 vitati, dal Conte Edilio Raggio. La Meirana, poi, sviluppata grazie al lavoro di Piero (ex parlamentare della XII legislatura) e del fratello Paolo, che nonostante si sia occupato dell’attività tessile di famiglia ha sempre seguito le sorti dell’azienda vinicola, è tuttora la proprietà accorpata di maggiore estensione della zona. Ottima esposizione, marne calcaree, 350 metri di altitudine.
Una piattaforma ideale per la produzione di qualità. Ora, arrivati alla terza generazione, al timone ci sono Roberto e Filippo, figli di Piero, e Bruno, figlio di Paolo, che hanno consolidato la visione iniziale. Nel solco della territorialità: vini puliti, vinificati il più linearmente possibile, ad evidenziare la qualità della materia prima. Con un pallino, quello di esplorarne i confini in termini di longevità ed espressione, forse l’unica maniera per avvicinarsi al grande mistero della pianta meravigliosa che è la vite. Conferma sono l’iconico Gavi DOCG Vecchia Annata, più di 100 mesi sui lieviti, albicocca, fiori di acacia, tocchi di frutta secca tostata al naso, salmastro-fruttato alla beva, e il Metodo Classico Broglia Blanc de Blancs, olfazione di cedro, timo citrino e biancospino, al palato teso, succoso-sapido, con ritorno agrumato-officinale.
https://espresso.repubblica.it – 27/03/2023
Questa sera pizza ma cosa è meglio bere?
Quando si ordina una pizza è quasi impossibile anche solo pensare di accompagnarla con l’acqua e, a meno che siate astemi, potete scegliere tra la birra o il vino. Ma cosa sarebbe meglio scegliere tra i due? La risposta giusta esiste e a condividerla sono i nutrizionisti stessi. E voi cosa preferite?
Diciamoci la verità quando prendiamo una pizza quasi sicuramente decidiamo di accompagnarla con una birra fresca. L’accostamento sembra perfetto, ma siamo sicuri che sia davvero così? Con che cosa sarebbe preferibile, secondo i nutrizionisti, accompagnare il piatto preferito dagli italiani?
La risposta giusta, quindi, è il vino sarebbe infatti questo tra le due alternative proposte sopra quella più appropriata alla pizza e la motivazione ha a che fare con valori nutrizionali e la loro composizione.
Birra e pizza sono entrambi fonte di carboidrati e di lievito. E due prodotti ricchi di lievito se consumati insieme possono provare flatulenza e gonfiore intestinale. Da questo punto di vista, invece, il vino è diverso e c’è maggiore possibilità di abbinamento.
Non resta che vedere quale vino sia migliore scegliere in base alla pizza che abbiamo; la scelta prima di tutto deve essere fatta in base anche agli ingredienti che ritroviamo sulla pizza stessa.
Se, per esempio, abbiamo scelto una margherita l’acidità del pomodoro sarà la nota a prevalere e per questo il vino da scegliere dovrebbe essere poco acido, con un basso volume alcolico e anche poco tannico. Vanno, quindi, bene un Lambrusco o un Pinot Grigio.
Se optiamo per una pizza capricciosa allora un vino rosato; la pizza 4 formaggi chiama invece bollicine come uno spumante extra dry.
https://www.checucino.it – 25/02/2023
Europa. No al teschio sulla bottiglia di vino si può accusare l’abuso, non l’uso
La campagna europea sugli alert sanitari in etichetta Francamente, non me l’aspettavo. Bruxelles ha dato l’ok agli alert sanitari sulle bottiglie di vino. Già non capisco che senso abbiano gli allarmi sui pacchetti di sigarette: tu sei lo Stato, hai messo nella Costituzione che il tuo compito è proteggere la salute dei tuoi cittadini, allora come puoi vendere, in regime di monopolio (cioè: tu vendi questo prodotto, ma impedisci che chiunque altro possa venderlo), un prodotto ma nel contempo decidi di contrassegnarlo con l’ammonimento che chi lo usa può ammalarsi e addirittura morire?
Il messaggio che trasmetti contraddice la ragione per cui esisti, perché con quel messaggio tu Stato dici: io fabbrico (ieri) o faccio fabbricare (oggi) e vendo questo prodotto altamente nocivo, dunque faccio del male a voi cittadini, ma con questo mercato ci guadagno, quindi faccio del bene a me. Perciò: morite ma datemi soldi. Ho sempre pensato, ma so che scriverlo è audace, che fabbricare e vendere sigarette sia incostituzionale. Lo Stato potrebbe (anzi, dovrebbe) essere condannato per questo. Credo d’averlo anche scritto. Ma non succede nulla. Una volta, quando prendeva piede l’informazione sui mali prodotti dal fumo, sui pacchetti di sigarette veniva stampigliato il teschio della morte, con la scritta: “Il fumo uccide”.
Per lo Stato era un problema economico: era enorme la somma che lo Stato ci rimetteva per le malattie polmonari e per le assenze dal lavoro. Il fumo, e lo dico da non-fumatore, era indicato come causa di molti malanni e di nessun beneficio, se non la rilassatezza che conferisce a chi ormai ne patisce la dipendenza. Ma per il vino non è così. Per il vino si può accusare l’abuso ma non l’uso. L’uso ha una tradizione trimillenaria e ha creato una cultura raffinata.
Ci sono i popoli del vino e i popoli della birra, e i popoli della birra considerano più raffinati i popoli del vino. “Volete qualcosa da bere?” chiede una sorella Buddenbrook al fratello che la va a trovare. “Sì, grazie” risponde quello. “Birra o vino?”. “Come volete voi”. “No no, come volete voi”. “ Vino, grazie”. “Davvero non volete birra?”. “Come volete voi”. “No no, come volete voi”. “Allora vino, grazie” risponde lui piccato. Thomas Mann mette questo dialogo nei Buddenbrook come esempio di rozzezza: tutti, anche quelli che bevono birra, sanno che il vino è più raffinato. Il vino è cultura: bevendo vino nei lirici greci si festeggiava la morte del tiranno. Col vino si concludono gli affari, e il mediatore offre un bicchiere al compratore e uno al venditore.
Nel vino si può sentire, io la sento, la composizione minerale delle colline che l’han prodotto. Sull’Amarone della Valpolicella sento il sole del lago di Garda. È come bere il sole. Perciò dico: sulla bottiglia mettiamo una foto delle colline che han nutrito le vigne, non un simbolo mortuario. Se poi all’estero vogliono boicottare i nostri vini perché loro non reggono il confronto, cerchino di migliorare.
https://www.avvenire.it – 17/01/2022
Alberto Merico, sommelier “Il vino non ha più segreti”
Il vino per lui non ha segreti: Alberto Merico, varedese residente a Bovisio Masciago, è da annoverare a pieno titolo tra i sommelier di altissimo livello. Da 13 anni è il sommelier responsabile degli eventi di Davittorio 3 stelle Michelin di Brusaporto (Bergamo).
Proprio l’umiltà e la preparazione gli hanno permesso di diventare ciò che è. La passione per il settore del food and beverage l’aveva fin dall’infanzia. “Finite le scuole medie – racconta – ho scelto l’indirizzo alberghiero pensando che quello del cuoco fosse il lavoro giusto per me. Mi sono pertanto iscritto all’istituto alberghiero “Carlo Porta” di Milano. Il percorso di studi sperimentale prevedeva cucina, sala-bar e segreteria.
In terza la decisione di continuare con la specializzazione sala, il cuoco non era più il lavoro che faceva per me. La svolta in quinta superiore. Spinto da una figura emblematica della sommellerie mondiale, Giuseppe Vaccarini (campione del mondo nel 1978), sono stato incoraggiato a frequentare dei corsi per diventare sommelier. L’attestato sono riuscito a ottenerlo poco prima di partire per il servizio militare”.
Dopo la leva, Merico si è messo alla prova: due anni come sommelier a Londra, poi un anno a Parigi al “Four Seasons George V”. Leggi il resto di questo articolo »
Abbinare il vino al cibo: come farlo nel modo migliore
È abitudine comune accompagnare l’aperitivo o il pasto serale con un buon bicchiere di vino. L’importante è farlo bene! Infatti, per ogni piatto e pietanza esiste l’abbinamento giusto con un particolare tipo di vino. Ciò permette di esaltare i sapori e creare un’armonia inconfondibile di odori.
Per riuscire ad abbinare il vino al cibo nel modo migliore è necessario prima di ogni cosa avere un’approfondita conoscenza di quelli che sono i principali vini. Solo successivamente è possibile acquistarli, o in un negozio fisico o usufruendo della vendita di vini online a prezzi vantaggiosi. In una cantina completa e rispettabile non possono mancare: Vini rossi, bianchi e rosè, Spumanti, Vini liquorosi, Passiti, Vini aromatici.
Un’importante distinzione va fatta tra vini rossi di struttura e di buon corpo e vini bianchi vivaci e morbidi. Sono queste le principali tipologie di vino che è possibile abbinare alle diverse pietanze. Di solito, tra le caratteristiche che maggiormente incidono sulla scelta vi è l’invecchiamento del vino. In ogni caso prima di scegliere la giusta bottiglia di vino da abbinare al cibo è necessario valutare un’altra serie di elementi.
Chi ha il desiderio di imparare in modo impeccabile ad accostare il vino giusto al cibo può seguire dei corsi da degustatore, con la possibilità di diventare un vero e proprio sommelier. Tuttavia, per il ruolo fondamentale che ha la cucina oggi, è indispensabile avere qualche nozione di base in modo da sapere qual è il miglior vino da servire con le pietanze preparate. Leggi il resto di questo articolo »
Il vino affinato nella ceramica è stato premiato al Wine Festival di Merano
Il vino del futuro affonda le sue radici nel passato. Amphora Moris 2018 della Poderi di San Pietro si conquista il riconoscimento Gold al premio The WineHunter Award del Merano Wine Festival, uno degli appuntamenti enogastronomici che negli ultimi anni ha scalato le gerarchie dell’attenzione di cantine, esperti ed appassionati per la selezione di qualità messa in atto.
The WineHunter premia solo le etichette che raggiungono almeno 90 punti su 100, e l’Award Gold è riservato a chi si aggiudica dai 93 ai 95,99 punti della giuria di esperti. Sopra di quel riconoscimento, c’è solo l’Award Platinum. Per Amphora Moris, alla prima partecipazione, è un debutto con i fiocchi, che conferma la grande accoglienza di pubblico e critico per questa bottiglia particolare, un bianco da 14 gradi affinato 12 mesi in anfore di ceramica.
«Siamo molto soddisfatti di questo riconoscimento, il Merano Wine Festival è cresciuto tanto negli ultimi anni e si sta caratterizzando come un appuntamento di qualità – dicono dalla Poderi di San Pietro -. Con ogni probabilità saremo presenti a novembre al Festival, e intanto ci godiamo questo riconoscimento. Amphora Moris ci sta dando tante soddisfazioni, è un vino particolare, quasi un finto bianco, con la sua potenza e la sua gradazione, che ampliano la platea degli abbinamenti. Anche per questo sta entrando sempre più nelle carte dei vini di ristoranti di livello».
Con un rapporto qualità-prezzo molto interessante, Amphora Moris è prodotto da uve chardonnay e verdea in circa 2mila 500 bottiglie l’anno. È un vino potente e alcolico, 14 gradi circa, sapido in bocca e complesso. Anticamente, il vino stava in anfore di terracotta, ma oggi è preferito l’affinamento in ceramica perché ha un impatto neutro sul vino, mantenendo intatte tutte le caratteristiche organolettiche.
Per le sue caratteristiche è consigliato servirlo fresco a 6 gradi, ma non si disdice di servirlo a temperatura ambiente, e si sposa alla perfezione con formaggi semi-stagionati e di alpeggio, con piatti di pesce, anche elaborati, e persino con carni bianche. Attualmente è in commercio l’annata 2018, a breve entrerà a scaffale il 2019.
https://www.ilcittadino.it – 21/08/2022
La società segreta di chi considera il Lambrusco di Sorbara il miglior vino del mondo
Sono un ragazzo fortunato e uno schifoso privilegiato, ho passato un pomeriggio a bere Sorbara supremo in un casolare fuori Modena (resto nel vago perché è un Sorbara fuori commercio, il produttore non ha nemmeno la partita Iva).
Seduto allo spartano tavolo della rustica cantina c’era un altro lambruschista grandissimo ma non citerò nemmeno lui, meglio non fornire troppi indizi.
Abbiamo bevuto per quattro ore di fila, prima un formidabile Trebbiano di Spagna (il miglior bianco emiliano di sempre?) e poi una raffica di Sorbara di varie annate: tutti vini rifermentati in bottiglia, ciò che chiamo “metodo romantico”. Obiettivo del produttore è fare vini “eleganti e fini”. Superbamente centrato.
Per quattro ore bevo e ammiro la sua capacità di eliminare i difetti (la maledizione dei rifermentati in bottiglia) e al contempo di conservare l’anima (ciò che smarriscono i vini metodo classico e metodo autoclave). Per quattro ore beviamo e compatiamo il volgo ignaro, la gente convinta che il Lambrusco sia un vino dolciastro da supermercato.
Dopo quattro ore è buio e salgo in macchina perfettamente vigile.
Il mattino dopo mi sveglio benissimo. Con la sensazione di aver vissuto un’iniziazione, di essere entrato a far parte di una società segreta: composta da coloro che considerano il Lambrusco di Sorbara il miglior vino del mondo.
https://www.ilfoglio.it – 19/05/2022
L’itinerario europeo del vino, nato in Sicilia, segna un’altra tappa nell’Isola
Forse non tutti sanno che esiste un itinerario culturale, riconosciuto dal Consiglio d’Europa, che attraversa i luoghi più importanti della viticoltura europea.
Il progetto di questo percorso, che si chiama “Iter Vitis”, è nato nel 2007 a Sambuca di Sicilia, Borgo più Bello d’Italia 2016, e coinvolge 25 Paesi del Vecchio Continente. Oggi ad entrare a pieno titolo in questo circuito internazionale è nuovamente la Sicilia – dove tutto è partito – con Castiglione di Sicilia, Borgo più Bello d’Italia 2017.
Il territorio di Castiglione, tra l’Etna e l’Alcantara, vanta una storia importante nel settore della viticoltura sia nei secoli passati che attualmente. Oggi, infatti, conta circa 70 aziende vitivinicole, è sede dell’Enoteca Regionale, del Consorzio Etna Doc, si trova al centro della Strada del Vino dell’Etna ed è ritenuta tra le capitali dell’enoturismo in Sicilia.
“Aderiamo a Iter Vitis – ha detto il sindaco di Castiglione, Antonio Camarda – perché riconosciamo un ruolo determinante nel progetto dei cammini attraverso i vigneti e la storia e la cultura del paesaggio rurale che attraversano. L’itinerario così strutturato, che ci proietta in un quadro di collaborazione e promozione europea, diventa ulteriore elemento di attrazione e sviluppo dell’enoturismo e del turismo culturale, permettendo di far scoprire le eccellenze paesaggistiche ed enogastronomiche del nostro territorio che così consolida la sua vocazione turistica internazionale”.
L’obiettivo degli itinerari europei è iniziato con un censimento dei Comuni da inserire in tutti gli Stati membri, in modo da poter dare visibilità anche a piccoli Borghi e poter lavorare a livello capillare sul territorio con progetti che promuovano i valori del Consiglio d’Europa, il turismo culturale, sostenibile e legato ai territori del vino.
“La Sicilia è stata la culla di Iter Vitis, oggi abbiamo 25 Nazioni socie. Fino ad ora, non avevamo purtroppo una presenza in Sicilia Orientale e soprattutto in un’area unica come l’Etna per terroir, paesaggio, tradizione: grazie alla partnership con i Borghi più belli d’Italia oggi annoveriamo Castiglione di Sicilia cui diamo il benvenuto tra le nostre città Iter Vitis” afferma Emanuela Panke, presidente dell’Itinerario e in passato direttrice anche della Strada del Vino dell’Etna.
https://www.guidasicilia.it – 13/05/2022
Non chiamatelo vino: tutti gli inganni nelle bottiglie a cui fare attenzione
Vengono chiamati vino, ma non lo sono. Però bisogna conoscerli, questi veri e propri inganni enologici, per evitare di cadere nei tranelli che danneggiano sia il settore, che il consumatore. Stiamo parlando, ad esempio, del vino dealcolato, di quello zuccherato, del vino in polvere, di quello annacquato: sono solo alcune delle ultime clamorose pratiche enologiche che si stanno diffondendo nel mondo. E che Coldiretti ha scelto di mettere al centro della mostra «Non chiamatelo vino», al Vinitaly di Verona.
Questi tranelli in bottiglia sono favoriti dall’estensione della produzione a territori non sempre vocati e senza una radicata cultura enologica. E colpiscono direttamente anche i Paesi con una storia del vino millenaria, come l’Italia, per via della globalizzazione.
«Si tratta di un precedente pericoloso che apre la strada all’introduzione di derive che mettono fortemente a rischio l’identità del vino italiano, che è la principale voce dell’export agroalimentare nazionale», spiega Ettore Prandini. «È in atto una demonizzazione indiscriminata, pilotata da alcune multinazionali, che punta ad affermare un nuovo modello alimentare e culturale che danneggia il settore e mette in discussione storia, cultura e valori fortemente radicati nel cibo e nei vini made in Italy, la dieta mediterranea stessa, patrimonio Unesco e il consumo moderato e responsabile che contraddistingue il vino in Italia».
Per Approfondire: Leggi il resto di questo articolo »
Vino: Grignolino conquista giovani, stranieri e importatori
Successo per la prima edizione di ‘Grignolino, il Nobile Ribelle’, una due giorni ospitata a Grazzano Badoglio (Asti) e dedicata alle numerose interpretazioni di questo vitigno che, con i suoi tannini vivaci, si presta a diversi tipi di vinificazione e d’invecchiamento.
In tanti sono arrivati a degustare le oltre cento etichette prodotte nelle 85 aziende vitivinicole dell’Astigiano e del Monferrato Casalese che hanno risposto alla chiamata dell’Ais – l’Associazione Italiana Sommelier del Piemonte con le delegazioni di Asti e Casale.
“Una prima edizione straordinaria – commentano gli organizzatori – Il Grignolino coinvolge e suscita curiosità anche tra i palati più esperti. Abbiamo avuto giornalisti che tornavano dai Grands Jours de Bourgogne e hanno fatto tappa a Grazzano Badoglio interessati a scoprire questo vino. È la dimostrazione che siamo all’inizio di una nuova era felice per questo vitigno che esprime bene l’anima del Monferrato”.
La produzione di Grignolino si avvicina oggi ai 2 milioni e mezzo di bottiglie, ma la potenzialità supera i 5 milioni: quasi un milione sono doc Grignolino d’Asti, 450 mila doc Grignolino del Monferrato Casalese, 940 mila doc Piemonte Grignolino.
https://www.ansa.it/piemonte – 27/03/2022