Degustazioni
Vino rosso con l’ostrica quando osare si può (ma servitelo freddo)
Abbinare vino rosso e ostriche è possibile. A dimostrarlo è stata l’azienda vitivinicola «La Collina dei Ciliegi» in occasione della serata «En Primeur», svolta il 7 settembre presso la località Erbin a Grezzana (Verona), nel cuore della Valpolicella.
La sfida, per superare il tabù enogastronomico, è stata preparata in sinergia con «I love Ostrica», promotore della cultura dell’ostrica e format di shop online catering e degustazioni con protagoniste ostriche, cruditès di mare e pescato di qualità.
La prova di abbinamento è stata realizzata con la Belòn, ostrica piatta affinata alla foce del fiume da cui prende il nome, e la Corvina Igt in purezza de «La Collina dei Ciliegi» prodotta con un’uva legata al territorio dell’Amarone, che, vinificata senza appassimento come monovitigno, regala – spiega una nota – freschezza e bevibilità degna di estivi vini bianchi.
Il risultato – spiegano gli esperti – è una esperienza unica all’assaggio grazie anche a un abbinamento che ha ripreso la vecchia usanza di servire il vino rosso ad una temperatura da bianco per un esito che ha visto il «il bouquet delicato del vino cullato dalle note salmastre dell’ostrica».
www.ladige.it – 12/09/2019
Nell’osteria più antica del mondo vietato lo spritz «Qui solo vini autoctoni»
Il vino che sembra un blues degli anni Trenta nella più antica osteria del mondo. “Al Brindisi”, a Ferrara, l’oste-musicista Federico Pellegrini ha una eredità importante sulle spalle. E uno sguardo aperto sul presente. Nel locale si dissetarono Benvenuto Cellini, Tiziano Vecellio e Torquato Tasso.
E l’astronomo Niccolò Copernico, che qui soggiornava. E Ludovico Ariosto. Fu proprio il poeta ferrarese a scrivere cosa si beveva nel Cinquecento: Vernaccia di San Gimignano e non gli autoctoni: “Senza molta acqua i nostri, nati in loco/ palustre, non assaggio, perché, puri,/ dal capo tranno in giù che mi fa roco”. I vini locali, pensava, vanno annacquati, perché l’acidità eccessiva causa raucedine.
Cinque secoli dopo tutto è cambiato. “Al Brindisi” è ora il luogo ideale dei vini localissimi. Quelli delle sabbie, prodotti nella costa tra le province di Ferrara e Ravenna, la zona del Bosco Eliceo, dell’omonima Doc (dal 1991).
“Il Fortana del Bosco Eliceo è un piccolo vino che diventa grande se abbinato bene, con i piatti della cucina ferrarese – spiega Pellegrini-. Seguo direttamente vigna e cantina e poi faccio imbottigliare una mia selezione, usando cloni diversi”.
L’enoteca è attiva almeno dal 1435 (a quell’anno risale il primo documento, ma pare sia stata aperta nel 1100 per gli operai della cattedrale). Compare nel Guinness dei primati.
E’ uno dei 215 tra bar, ristoranti e hotel mai banali inseriti nella guida “Locali storici d’Italia” (tra gli altri ci sono le ottocentesche Bottega del vino di Verona e la Fiaschetteria Italiana di Montalcino, con il liberty che piaceva a Ferruccio Biondi Santi).
“Il Fortana è viscerale, come un vecchio blues con un solo accordo che dà emozione e forza”. L’oste, che è anche un bluesman, dietro al bancone racconta non solo la storia del Fortuna. Elogia il suo bianco Montuni (”semi aromatico”).
“Qui non serviamo spritz, bibite o caffè, solo vini, soprattutto dell’Emilia Romagna, molti di piccoli vitigni locali, come il Longanesi o l’Alionza, dimenticati e riscoperti”. Anche l’Ariosto ora potrebbe ricredersi e berli puri senza rischiare di perdere la voce.
cucina.corriere.it – 29/08/2019
Nel vino rosso il segreto per volare su Marte
Il vino rosso nasconde il segreto per difendere i muscoli degli astronauti che dovranno affrontare le lunghe missioni su Marte. Si trova nel resveratrolo, una sostanza nota per le sue proprietà antiossidanti, che ha dimostrato di proteggere massa e forza muscolare in esperimenti su topi esposti a una gravità debole come quella marziana.
È quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Physiology dal gruppo dell’Università americana di Harvard, coordinato da Marie Mortreux. Con le attuali tecnologie il viaggio verso Marte richiede circa sei mesi, durante i quali i muscoli e le ossa degli astronauti vanno incontro a indebolimento. Come hanno sperimentato gli astronauti dopo mesi passati in orbita sulla Stazione spaziale.
Al rientro, infatti, sono così provati che non riescono neanche a stare in piedi, e devono essere estratti di peso dalla capsula spaziale. “Già dopo le prime tre settimane nello spazio alcuni muscoli cominciano a indebolirsi”, ha sottolineato Mortreux.
“Per consentire agli astronauti di operare in sicurezza in lunghe missioni, come quelle future su Marte, occorrono quindi adeguate strategie di mitigazione. Una dieta corretta – ha aggiunto la studiosa – può essere una delle chiavi, insieme all’allenamento fisico. Il resveratrolo ha mostrato buoni risultati sui topi, promuovendo la crescita muscolare attraverso un aumento della sensibilità all’insulina, e pensiamo – ha concluso – che una piccola dose quotidiana possa essere utile anche per gli astronauti”.
http://www.ansa.it – 22/07/2019
A Firenze hanno riaperto una delle storiche buchette del vino
A Firenze torna in vita una delle tradizioni più curiose della città. O almeno, sta tornando in vita in un punto preciso, che però, chissà, potrebbe lanciare una moda. Per farla breve, dopo secoli ha riaperto una “buchetta del vino”…
Forse non tutti sanno che in molti palazzi signorili di Firenze si aprono a circa un metro dal suolo delle minuscole porticine, si direbbero adatte a degli gnomi (se fossero a terra) o, chissà, a delle fate. Quel che è certo è che ormai paiono non servire più a nessuno, sono infatti sempre chiuse, a volte addirittura murate o inghiottite dalle ristrutturazioni dei palazzi, possono perfino spuntare talvolta in quelli che oggi sono gli androni o l’interno dei negozi.
Ma a che servivano queste porticine a mezza altezza? Ebbene, la risposta è più sorprendente di quanto non si possa pensare. In queste aperture si rivelava una mirabile tradizione fiorentina. Queste erano le cosiddette Buchette del vino.
Dette anche tabernacoli, finestrini o finestrelle (sempre “del vino”), erano poste sin dal Cinquecento ai lati dei portoni dei palazzi delle grandi famiglie proprio per vendere un bicchiere – o perfino un fiaschetto – di nettare, in cambio di un gruzzolo di monete sonanti.
E si beveva fin dalla mattina. Ogni famiglia abbastanza ricca da avere delle tenute non lontano dalla città, attraverso questi miracolosi anfratti smerciava il vino ai viandanti. Era anche un’attività conveniente: essendo la produzione familiare la vendita era esentasse. Inoltre le buchette erano pensate per tutti, soprattutto per i più poveri.
Capitava infatti che da queste aperture venissero offerte anche eccedenze alimentari. Al giorno d’oggi se ne contano ancora 170, di cui 145 nel centro storico.
E come è normale a ogni buchetta corrispondeva uno stile (anche architettonico) e un gusto, perché di fatto ogni finestrella era l’affaccio sul mondo di una cantina signorile. Dietro il passaggio c’era sempre una stanzina piena di botti e un servo della casata pronto a mescere. Talvolta si notano ancora i battenti per richiamarlo, qualora si fosse distratto (o, chissà, ubriacato…).
https://www.dissapore.com – 04/07/2019
Vino: Pighin porta in Israele etichette della produzione friulana
L’azienda Pighin, ambasciatore del vino friulano tra i più conosciuti nel mondo, scrive un nuovo e sfidante capitolo della sua storia portando nel mercato israeliano i ‘gioielli’ della sua produzione vitivinicola. L’azienda friulana, ubicata nella culla della più alta tradizione vinicola del Friuli, Risano nelle Grave e Capriva nel Collio, sbarca infatti in Israele per raccontare attraverso i suoi vini la storia di due terroir Doc, oggi disponibili nel canale Horeca.
“Siamo orgogliosi di essere stati scelti da un’importante società di importazione e distribuzione leader del mercato israeliano – racconta Roberto Pighin, titolare dell’azienda – e siamo desiderosi di cogliere tutte le interessanti e concrete opportunità commerciali che questo Paese può offrire”.
Di antica tradizione ed elemento di benedizione di ogni occasione sociale, per lungo tempo il vino è stato prodotto in Israele soprattutto per motivi religiosi con scarsa attenzione alla sua qualità. Negli ultimi 30 anni si è registrata tuttavia un’inversione di tendenza e oggi il comparto vino rappresenta una realtà dinamica e in espansione: attualmente si contano circa 300 aziende con vigneti che coprono circa 6.000 ettari (78% uve rosse e 22% bianche) per 336.000 ettolitri annui di vino prodotti. Questi sono consumati prevalentemente in loco, con un 15% destinato all’esportazione.
Per quanto piccolo sia il comparto del vino israeliano, presenta una notevole variabilità di zone e climi Leggi il resto di questo articolo »
E dopo due bottiglie di buon vino, la risposta la trovi nell’etichetta
I territori vanno apprezzati per le tante sfumature. Un bel paesaggio non sarà mai un solo ulivo, ma un bosco con tanti alberi immerso in una macchia mediterranea su una terra color del sangue che si riflette in un tramonto…etc., etc… Insomma il tutto, l’insieme, è fatto di tante parti e questo vale anche per il vino.
Nonostante quel che ho dovuto dire per tanti anni, oggi faccio outing e vi dico che sono per un vino frutto di blend, “sinfonico e non solista”, come direbbe il prof. Moio e sono convinto che l’abilità di un grande enologo sia nei giusti tagli, nell’accordo dei profumi, degli aromi, nell’uso di antichi sapori rivissuti in chiave di attualità di gusti.
In coerenza a tutto ciò ho scelto un vino che non conoscevo di una nuova casa produttrice del territorio che mi dicevano aveva i vigneti ben esposti tra Torricella e Maruggio.
Conoscevo tutte le aziende produttrici presenti sul menù, tutte di buon livello con ottimi vini, ma la curiosità, novello Ulisse enoico, mi ha spinto verso un 13° con un blend di Fiano, Malvasia e Sauvignon.
Devo dire un buon vino: un colore di un giallo intenso “vecchia maniera” che faceva pensare ad una giusta prevalenza di base della malvasia; profumi intesi come si immaginava dalla composizione; la gradazione sostenuta era all’altezza di quanto si aspetta un nuovo e giovane consumatore e non confondeva la struttura equilibrata che accompagnava ottimamente i gamberi degli spaghetti ed il dentice al forno.
Insomma una buona scelta, due bottiglie, se non fossi andato a fondo…
Nell’approfondire l’etichetta e saperne di più sulla casa produttrice che era l’unica a me sconosciuta della lista dei vini, ho scoperto che era un vino imbottigliato a Lavis (Trento).
Ecco perché non lo conoscevo.
Non aggiungo altro se non …”Ahi serva Italia di dolore ostello…” per continuare con Ulisse….!
www.lavocedimanduria.it – Luigi Primicerj – 14/06/2019
La rinascita del Vermouth
L’Artemisia Absinthium, (l’Assenzio) è l’erba aromatica usata nella produzione del Vermouth, la bevanda antica ma dal gusto attuale, classificata come Vino Aromatizzato.
Ecco da dove ha origine la lunga storia del Vermouth, da una piantina già conosciuta dai romani: ne parlano anche Cicerone e Plinio il Vecchio proprio in riferimento ai vini aromatizzati dalle miracolose proprietà per chi aveva problemi di salute e stomaco.
Ufficialmente la nascita del Vermouth risale al 1786 a Torino, una città ricca di spunti culturali, una specie di salotto cittadino nel quale si ritrovavano intellettuali, politici e gente della borghesia, soprattutto nel tardo pomeriggio, il momento più adatto per gustare la nuova bevanda creata, per puro caso, da un garzone, Antonio Benedetto Carpano, il primo ad avere avuto l’intuizione di mescolare erbe e spezie a un vino bianco prodotto con uve di Moscato.
Il successo durò circa due secoli, anni nei quali il Vermouth si ritagliò una posizione di prestigioso nel pubblico degli appassionati e degli intenditori per diventare, verso gli anni ’60 del 1900, una bevanda oramai obsoleta.
LA NUOVA VITA DEL VERMOUTH
Per fortuna i tempi sono cambiati e il Vermouth è tornato a vivere una nuova identità, anche territoriale.
Oggi, entrando in un locale, chiedendo di bere il ‘vino aromatico’ si scopre una realtà differente, fatta di un buon numero di etichette e di un rinato interesse, non solo da parte di chi ne aveva ricordo ma, passo dopo passo, si riscontra una curiosità crescente anche da parte del pubblico più giovane, attratto dal mondo della mixology. Leggi il resto di questo articolo »
Una botta d’orgoglio per il vino di Rimini
“I vini bevibili soprattutto con amore sono come le belle donne, differenti, misteriosi e volubili, ed ogni vino come una donna va preso.
Luigi Veronelli”
Inizia oggi al Teatro degli Atti, la tre giorni dedicata al vino Riminese.
Quando, in illo tempore, pontificavo sul vino delle nostre splendide colline a Furlè, in te Zitadoun, mi guardavano storto, pensando in cuor loro che bestemmiassi…
Avevano ragione, i raspaterra del Consorzio Agrario, loro erano più avanti in campo enologico di almeno vent’anni.
In casa nostra è mancata quella nobiltà agricola illimitata presente in Toscana e in Piemonte.
I nostri contadini che avevano fame e voglia di lavorare sono diventati albergatori, bagnini, ristoratori e se non fossero arrivati, che Dio li benedica, quelli che noi chiamavamo con sufficienza “maruchin” i marocchini/marchigiani che bussavano con i piedi, la cultura della vite sarebbe scomparsa nell’agro riminese.
Ma questa non è storia, è preistoria. Guardiamo al presente, anzi al futuro.
Abbiamo la possibilità di conoscere lo stato dell’arte sulla nostra viticoltura e volendo, assaggiare, gustare, centellinare il meglio della produzione locale. Una botta d’orgoglio, ogni tanto, fa bene.
www.riminiduepuntozero.it – 02/02/2019
Un bicchiere per ogni vino e la festa continua
Un bicchiere per ogni vino e la festa continua
Le Festività religiose sono appena trascorse ma le occasioni di far festa non sono terminate, anzi con il nuovo anno abbiamo dodici mesi davanti a noi per brindare a qualsiasi evento che riunisca delle persone, e pure quando ne abbiamo voglia in solitudine.
Chi ha organizzato incontri in casa tra parenti ed amici per trascorrere in letizia i Cenoni e i pranzi solenni degli ultimi giorni, ha certamente dovuto fare i conti, oltre ai vini da servire in armonia alle pietanze, anche e soprattutto con i bicchieri giusti per farli apprezzare al meglio.
Siamo certi di non dire un’eresia nell’affermare che i bicchieri sono diventati uno «status symbol», non sono molte le famiglie italiane che possono permettersi di rinnovare i propri servizi di bicchieri ad ogni moda che si impone in un tot di annate, oltre a quelli acquistati/ricevuti/inseriti nella lista in occasione delle nozze e cioè quelli che offriva il mercato in quel momento.
Chi non ha ancora da qualche parte il tris di calici di cristallo di Boemia con gambo lungo per acqua, vino, spumante o quelli per wodka, whiskey, limoncello, grappa, cognac, e altre bevande, targati anni ’70-80? Leggi il resto di questo articolo »
Vino: arrivano i Migliori vini italiani 2019 di Luca Maroni
Cresce la qualità dei vini italiani, mentre sul fronte degli spumanti non ci sono rivali per varietà e bontà.
E’ quanto rivela l’Annuario 2019 dei Migliori Vini Italiani di Luca Maroni, 27esima edizione della guida che fotografa un settore in ottima forma.
In oltre mille pagine l’Annuario analizza 8.473 vini, 1.377 aziende vitivinicole, con 33.892 valutazioni completate da schede organolettiche, storia delle aziende produttrici, statistiche e graduatorie.
Secondo i punteggi assegnati nell’edizione 2019, difficilmente i vini dell’annata 2017 potranno essere uguagliati in futuro, ma la secchissima e striminzita uva del 2018, secondo l’enologo, si è rivelata un autentico capolavoro.
E a questo proposito l’Annuario 2019 è stato dedicato a Leonardo da Vinci che moriva proprio nel 1519; un grande appassionato di vino tanto da produrlo, berlo, studiarlo e descriverlo.
Maroni, infatti, ha compiuto un complesso lavoro nelle Cantine Leonardo da Vinci ristrutturando la linea dei vini a lui dedicati, realizzando un documentario sul rapporto tra Leonardo e il vino che sarà presentato durante le celebrazioni ufficiali dell’anniversario.
www.ansa.it – 07/12/2018