Eventi

Il primo vino in brick nel mondo spegne 40 candeline

Ci sono compleanni speciali, cifre tonde che segnano traguardi raggiunti, ricordando momenti indimenticabili. Quarant’anni sono un avvenimento importante che il Tavernello, il vino più bevuto d’Italia e uno dei marchi più conosciuti, ha festeggiato con una serata speciale allo stabilimento Caviro di via Zampeschi, a Forlì.

Era il 1983 quando Caviro, cooperativa agricola nata a Faenza per valorizzare la produzione vinicola locale, portò il Tavernello sul mercato. E’ stato il primo vino in brick del pianeta, un prodotto destinato a rivoluzionare per sempre il modo di intendere il vino, oggi esportato in oltre 40 paesi nel mondo.

Il Gruppo Caviro, realtà che oggi rappresenta 11.650 soci e 37.000 ettari vitati per un totale di 600.000 tonnellate di uva prodotta (l’8,5% della produzione nazionale), ha scelto di celebrare questo traguardo a Forlì, città che ospita le Cantine di Caviro. Gli ospiti hanno potuto degustare vini attraverso il Tavernello ForTy Party, ma anche vedere come nascono attraverso visite guidate alla cantina. Gran finale con lo spettacolo del comico Raul Cremona.

La serata, che si è svolta in un’ampia area verde, fiore all’occhiello della sede, aveva l’obiettivo di far conoscere alla comunità locale tutto il mondo che ruota intorno a Tavernello, a partire dall’attività della cantina sino ad arrivare ai tanti vini Caviro.

https://www.forlitoday.it – 08/09/2023

La maratona più golosa del mondo

42 chilometri di corsa assaggiando ostriche, vino e formaggi.

La goliardica Marathon des Châteaux du Médoc attraversa la regione vinicola francese ed è giunta alla 37esima edizione. Diecimila partecipanti e, lungo il percorso, 23 stand per le degustazioni

Immaginate Batman, Capitan America, Marylin Monroe, oppure Ratatouille ed Elton John con una pettorina da gara correre per oltre 42 chilometri. E destreggiarsi, oltre che con le scarpette da corsa, anche con vino, ostriche e manicaretti di ogni genere.

Sono i supereroi, in più di un senso e non solo figurato, della Maratona del Medoc. L’unica corsa al mondo che oltre alla competitività sportiva – decisamente non la protagonista – ha come ingredienti fondamentali l’amicizia, la goliardia e la gastronomia.

https://www.repubblica.it – 31/08/2023

La nuova vita del Marsala

Una storia che inizia nel 1978, quando Marco, fresco di una laurea in agronomia, subentra alla madre Josephine nella conduzione del baglio Samperi, proprietà della famiglia da oltre due secoli. Lì nasce il mito moderno di Marco de Bartoli, personalità prorompente, capace di rivitalizzare una tradizione, quella del Marsala, mai così slegata da ingombranti relitti. Un vino che negli anni Settanta era sacrificato a logiche di commercializzazione di massa, che invece Marco, testardamente, riprende per mano grazie alla reintroduzione del metodo Solera (o Soleras), il perpetuo, l’unico a suo avviso capace di raccontare correttamente una tradizione territoriale, parlando il linguaggio evolutivo del tempo.

All’inizio, in un panorama di vini “conciati” e fortificati, viene criticato ed osteggiato, fino ad essere accusato di sofisticazione. Uscito dalla crisi prosciolto e rinvigorito, ha la soddisfazione di vedere le sue intuizioni affermarsi rapidamente. Lo scenario, inutile sottolinearlo, è quello di Marsala, terra di uomini e donne dalle usanze antiche, inscindibili dalla campagna.

Una tradizione che Marco ha sempre incarnato, e che dopo la scomparsa continua a vivere nel lavoro impeccabile dei figli Josephine (che porta il nome della nonna), Renato e Sebastiano, attraverso la produzione di tanti vini iconici, che hanno al centro, in varie interpretazioni, Grillo e Zibibbo, varietà da sempre fondamentali, con il più recente Catarratto. (Riuscitissime) versioni passite, secche, spumantizzate, con la recente introduzione dell’anfora in vinificazione – per il progetto dello Zibibbo di Pantelleria, che si affianca al Moscato del Bukkuram – capaci di rendere la cantina, che conta circa 19 ettari vitati, una delle più sorprendenti realtà del fascinoso viaggio vitivinicolo peninsulare, ideale punto di contatto tra sapienza artigianale e controllo, tutto moderno, del processo. Sopra tutto, il rispetto supremo per quella magica bevanda che chiamiamo vino.

https://espresso.repubblica.it – 28/08/2023

Come catturare tutti i sapori del vino

Un brevetto dell’Università di Firenze è in grado di conferire al vino aromi floreali e fruttati in maggiore concentrazione recuperando i composti organici che si perdono durante il processo di fermentazione. Rispetto al metodo tradizionale, il risultato ottenuto attraverso il dispositivo, che si chiama “Aromy”, è un prodotto invecchiato di qualche mese, diverso al gusto e all’olfatto rispetto al vino al quale siamo abituati.

La tecnologia è stata ideata da Alessandro Parenti, docente del Dipartimento di scienze e tecnologie agrarie, alimentari, ambientali e forestali dell’ateaneo fiorentino ed è stata data in licenza all’azienda trevigiana Trecieffe. In quattro anni ha avuto un riscontro significativo sul mercato (tra le aziende che hanno acquisito Aromy la Fattoria di Petrognano di Montelupo Fiorentino e la Moncaro di Montecarotto – Ancona) e ottenuto alcuni riconoscimenti internazionali.

Aromy è in grado di catturare i vari composti organici volatili che si perdono durante la fermentazione alcolica. Queste sostanze, legate all’uva fermentata o al metabolismo dei lieviti, conferiscono aromi floreali e fruttati ai vini. “Come suggerisce il nome, si tratta di uno strumento in grado di accrescere le caratteristiche aromatiche del vino” spiega Alessandro Parenti, inventore del dispositivo insieme a Lorenzo Guerrini (allora assegnista di ricerca Unifi). Ma, a quanto pare, “l’importanza di Aromy non si limita al recupero delle sostanze che si separano dal mosto durante la fermentazione alcolica a causa di un effetto di stripping dovuto alla CO2 emessa dai lieviti. Il dispositivo, bloccando tali molecole, permette l’interazione tra queste e dunque la creazione di nuovi composti profumati e fruttati (gli esteri), che poi ricadono sotto forma di condensa nel mosto”.

A dare impulso allo sviluppo di Aromy è stato un altro tipo di ricerca. Leggi il resto di questo articolo »

Il mondo del vino saluta Alexandre de Lur Saluces, “monsieur” Chateau d’Yquem

Il mondo del vino saluta uno dei suoi grandi: si è spento in Francia, ad 89 anni compiuti, Alexandre de Lur Saluces, che, dal 1968 al 2004, ha guidato una cantina mito a livello planetario come Chateau d’Yquem, icona n. 1 del Sauternes (oggi del gruppo Lvmh), per tanti anni la “cantina di famiglia”, prima di dedicarsi sempre all’amato Sauternes con il prestigioso Chateau de Fargues (anche questo di proprietà della sua famiglia dal 1472).

Un uomo innamorato del suo territorio, punto di riferimento per i vini dolci del mondo, Alexandre de Lur Saluces, è stato anche autore di diverse pubblicazioni, e personalità capace anche di scelte difficili, come ci ha raccontato in questa intervista di qualche anno fa.

Ultimo esponente di una storia affascinante e plurisecolare, quella di Chateau d’Yquem, nata in terre che nel Medioevo appartenevano al Re d’Inghilterra, al tempo anche Duca di Aquitania. Poi le terre tornarono francesi nel 1453, con Re Carlo VII, e nel 1593 il discendente di una famiglia nobile, Jacques Sauvage, ottenne la proprietà feudale di Yquem. Documenti dell’epoca dicono che già al tempo nella zona venivano effettuate peculiari pratiche vinicole e vendemmie tardive, ma la cantina ed il vigneto vennero costruiti proprio dalla famiglia Sauvage, che divenne proprietaria a tutti gli effetti di Chateau d’Yquem nel 1711, sotto il regno di Luigi XIV, il “Re Sole”. Nel 1785, Françoise Joséphine de Sauvage d’Yquem sposò il conte Louis Amédée de Lur-Saluces, “figlioccio” del re. Tre anni dopo, nel 1788, il conte morì in seguito a un incidente a cavallo.

La giovane vedova, come racconta il sito di Chateau d’Yquem, divenne così il capo della famiglia e Leggi il resto di questo articolo »

Sui pesticidi la Commissione Ue chiude la porta agli agricoltori

Sui pesticidi la Commissione Ue chiude la porta in faccia agli agricoltori europei. Nel supplemento d’analisi elaborato sulla proposta di regolamento non c’è traccia di accoglimento di nessuna delle richieste delle associazioni agricole di tutta Europa. Bruxelles si limita a suggerire che, per ridurre l’utilizzo dei pesticidi, basterà portare la quota di coltivazioni biologiche al 25% del totale: se anche questo non sarà sufficiente, dice la Commissione, bisognerà concentrare i tagli sui settori «non essenziali» alla sicurezza alimentare, come per esempio «il vino o i pomodori».

La Commissione renderà pubblica la sua analisi in concomitanza con il Consiglio dei ministri Ue dell’Agricoltura di lunedì prossimo. Ma una prima bozza è trapelata e le associazioni agricole sono letteralmente rimaste senza parole. «Come si fa a non considerare essenziali due produzioni strategiche per l’economia europea come il comparto vitivinicolo e il pomodoro – si chiede Luca Rigotti, coordinatore settore vino dell’Alleanza delle cooperative – quello del vino è un comparto che crea un indotto enorme, dalla produzione di macchinari al turismo, e si è anche rivelato un settore anticiclico durante i periodi di crisi. Diminuire la produzione europea poi non avrebbe senso perché i consumi di vino certo non diminuirebbero di conseguenza, e questo aprirebbe il mercato a produzioni extra-Ue non necessariamente più sostenibili di quelle europee».

Così come è scritta adesso, la proposta di regolamento avanzata dalla Commissione prevede, entro il 2030, un abbattimento dell’uso di pesticidi del 50% in media, ma nel caso specifico dell’Italia di oltre il 60%. Raggiungere questi obbiettivi ambiziosi in tempi così rapidi e puntando tutto sull’aumento della quota di biologico, per gli agricoltori semplicemente non è realistico: «Oggi il mercato del bio è in grande affanno – dice Davide Vernocchi, coordinatore ortofrutticolo dell’Alleanza – salvo qualche nicchia, la frutta fresca bio e quella trasformata non registrano nessun aumento della quota di consumi. Oltretutto, i prezzi si stanno livellando su quelli delle produzioni convenzionali e molti produttori preferiscono uscire dal mercato: con rese che mediamente sono del 30% minori, se non si riesce più ad alzare il prezzo di vendita finisce che un agricoltore va in perdita».

Oltre al ripiego sul bio, Vernocchi contesta anche la mancanza di una definizione chiara, nel testo della Commissione, del concetto di «aree sensibili», dove non sarà possibile l’uso dei pesticidi: «Se oltre ai parchi pubblici vengono per esempio inseriti anche i terreni attraversati dalle piste ciclabili, viene fuori quello che avevamo previsto in molti dei nostri studi: che in Veneto il divieto della chimica sarebbe esteso al 90% del territorio e in Lombardia e in Emilia-Romagna all’80%».

https://www.ilsole24ore.com – 22/06/2023

Vino in Slovacchia con barbatelle e macchinari made in Italy

Sono italiane, in larga parte, le barbatelle di vite impiantate in Repubblica Slovacca, come le macchine per la produzione del vino tra cui: cisterne, presse, nastri trasportatori e sgrondatori.

Nella terra dell’est Europa, dove furono i legionari romani a portare la coltura dell’uva, fiorita sotto Marco Aurelio, il rapporto con l’Italia è più vivo che mai, tanto che l’italiano è una lingua molto diffusa nel paese. L’Italia è un faro per un’economia agrivinicola in grande espansione, che raggiunge alti standard di sostenibilità ambientale.

Con l’ambasciatrice slovacca in Italia, Karla Wursterová, ha percorso la “Strada del Vino”, nei territori di Malé Karpaty, da Bratislava, Svätì Jur, Pezinok, Modra, fino a Trnava.

I vini slovacchi hanno le etichette con i nomi dei castelli, nel caso del bianco, e nomi dei fiumi, nel caso dei rossi. Tra questi il noto Dunaj, nome slovacco del fiume Danubio, vino di uva a maturazione medio-tardiva, resistente al gelo, con aromi di ciliegia e cioccolato, molto amato dai turisti italiani.

Il 15% del vino prodotto è rosso, con uve di Blaufränkisch, Cabernet Sauvignon, Dunaj e Pinot nero. Il restante 85% è bianco, invecchiato anche fino a 20 anni: Leggi il resto di questo articolo »

Vino, nasce etichetta “Trabocco”, lo spumante d’Abruzzo doc

Il Consorzio da tempo ha intrapreso un percorso di valorizzazione delle bollicine prodotte da vitigni autoctoni.

Già nel 2010 con la nascita della Doc Abruzzo, il Consorzio ha voluto mettere a tutela gli autoctoni riscoperti e rigorosamente imbottigliati in regione, a partire da Pecorino e Passerina d’Abruzzo che si sono fin da subito dimostrati adatti anche alla spumantizzazione. Il disciplinare di questa Doc comprende fin da subito anche la tipologia Spumante vinificati in bianco o rosé, realizzati con metodo Italiano o Classico e con l’utilizzo di vitigni internazionali.

Il marchio collettivo “Trabocco”, è il simbolo della regione riconosciuto in tutto il mondo, che mira a valorizzare gli spumanti prodotti con Metodo Italiano in Abruzzo da uve autoctone quali Passerina, Pecorino, Trebbiano, Montonico, Cococciola e Montepulciano d’Abruzzo, caratterizzate da alta acidità̀ e bassa gradazione, due qualità che le rendono uniche e che donano eccellenti basi spumanti. “Le nostre uve sono naturalmente predisposte alla spumantizzazione e vi è ormai l’esigenza di portare sui mercati un prodotto totalmente abruzzese, realizzato con i nostri vitigni, vinificato e imbottigliato in regione e che porta con sé un nome estremamente identificativo” ha spiegato Alessandro Nicodemi, presidente del Consorzio Tutela vini d’Abruzzo durante il lancio del Marchio alla stampa, su un Trabocco.

“Da luglio dello scorso anno è stato infatti approvato il regolamento dell’utilizzo del marchio collettivo “Trabocco” che circoscrive la possibilità di utilizzarlo solo per spumanti prodotti con Metodo Italiano e uve autoctone”. Nell’attuale riorganizzazione dei disciplinari di produzione sono state introdotte alcune varianti che hanno aggiunto anche per la Doc Abruzzo o d’Abruzzo Doc la possibilità di specificare il vitigno di provenienza: Pecorino, Passerina, Montonico e Cococciola”, conclude Nicodemi.

https://www.ansa.it – 15/06/2023

Dal lago d’Iseo riemergono 3.500 bottiglie di vino Nautilus

Una tradizione, un procedimento produttivo, uno spettacolo per, appassionati, turisti e curiosi. Dal 2010, anno in cui per la prima Alex Belingheri (titolare dell’azienda Agricola Vallecamonica di Artogne) decise di provare a far affinare nelle acque del lago d’Iseo alcune bottiglie di Metodo Classico, con l’inizio della stagione calda va in scena il «ripescaggio» del Nautilus. Si tratta di bottiglie di vino che riposano sul fondo del Sebino per non meno di quattro anni a 30/40 metri di profondità.

Quest’anno a Monte Isola, poco distante dalla frazione di Peschiera Maraglio, sono state riportate a galla 3.500 bottiglie di Metodo Classico 2018 dell’azienda agricola Vinivallecamonica. E dopo l’estrazione Belingheri è pronto a riporre sui fondali i vini del 2022: 8.500 bottiglie, 216 magnum e 20 jeroboam che verranno recuperate nei prossimi anni.

https://www.giornaledibrescia.it – 10/06/2023

Le Donne del vino in mostra

Le donne del vino si raccontano in una mostra fotografica itinerante aperta gratuitamente al pubblico intitolata le Indomite del Vino.

La mostra racconta le aspirazioni, le scelte e le fatiche delle donne del vino, che si confrontano quotidianamente con un settore in continuo movimento. È questo il tema portante di “Indomite del Vino”, un progetto di storytelling e ritratti fotografici, che si inaugura sabato 24 giugno presso la cantina Josetta Saffirio, diretta da Sara Vezza, una delle protagoniste di questa prima edizione, presso Monteforte d’Alba, in provincia di Cuneo.

Ideato e curato da Valeria Bugni (fondatrice del Wine Lady Club, ora impegnata in cantina), Claudia Ska (autrice) e Thomas Toti (fotografo), questa mostra aperta gratuitamente al pubblico, vede le professioniste del vino raccontarsi in un “canto libero”, che mette assieme l’arte visiva alla narrazione autobiografica.

La rassegna è composta dai ritratti di Sara Vezza, Elisabetta Foffani, Giordana Talamona, Sissi Baratella, Simona Geri, Francesca Auricchio e Valeria Bugni, realizzati da Toti e corredati dai racconti personali delle protagoniste. La mostra itinerante approderà anche in Friuli Venezia- Giulia, nella cantina di famiglia di Elisabetta Foffani, altra indomita, e a seguire in altre città italiane.

Enologhe, produttrici, comunicatrici, giornaliste, influencer e commerciali del vino, che rappresentano ancora una minoranza nel mondo vinicolo. Secondo Coldiretti le donne impiegate nel mondo vitivinicolo rappresentano oggi solo il 30% del totale, una cifra ancora bassa, auspicabilmente destinata a salire.

Indomite del Vino vuole essere un’occasione per dare una voce e un volto alle donne che lavorano in questo ambito, che fanno fatica a farsi spazio, ma anche a coloro che hanno raggiunto i proprio obiettivi, nonostante abbiano dovuto combattere di più rispetto gli omologhi uomini. Dalle interviste alle protagoniste di questa prima edizione è emersa a più riprese la parola dimostrare: dimostrare di essere all’altezza, di essere abbastanza, di essere tenaci. Le Indomite del Vino rivendicano, quindi, di avere le qualità necessarie per fare il proprio lavoro, senza più doverle rimarcare quotidianamente.

Sebbene le discriminazioni di genere non siano così marcatamente diverse tra questo settore e altri, per tradizione quello vinicolo è un ambiente maschile e maschilista, con una forte impronta patriarcale e patrilineare. Indomite del Vino ha deciso di puntare i riflettori, quindi, sulle donne che con la loro competenza e passione stanno cambiando l’industria, grazie anche all’uso innovativo e originale di nuove tecnologie.

L’inaugurazione della mostra fotografica sarà il 24 Giugno 2023 dalle 10.30 alle 17.00.

https://corrieredelvino.it – 07/06/2023