I vini naturali sono solo un grande inganno

La dura replica di Riccardo Cotarella al vignaiolo Piero Riccardi

I vini naturali non esistono e rappresentano un grande inganno per i consumatori. Ancora una volta, sollecitato da decine di produttori, mio malgrado sono costretto a intervenire su una querelle, tra vini convenzionali e sedicenti naturali, che in verità non avrebbe alcun senso di esistere sotto il profilo puramente scientifico.
Nonostante le affannose teorie rappresentate da personaggi senza specifici titoli professionali in materia, come ad esempio risulta essere Piero Riccardi che, dopo una vita da sceneggiatore cinematografico e teatrale, da qualche anno si autoprofessa vignaiolo e portabandiera dei cosiddetti vini naturali. Il suo intervento su queste colonne merita una risposta puntuale in nome della verità e della scienza, altrimenti si corre il rischio di far passare per acclarati procedimenti che non hanno nulla a che fare con la viticoltura e l’enologia. Questo discorso, ovviamente, non coinvolge i vini biologici e, al limite, quelli biodinamici, perché comunque richiedono dei precisi processi scientifici.

Ma se il principio è quello di produrre vini a sentimento, di gestire i vigneti sulla base del sentito dire o di sperimentazioni fai da te o, basato su supponenze prive dei più elementari processi conoscitivi in materia di certi produttori, perché migliaia di ragazze e ragazzi ogni anno si dovrebbero affannare nelle università per apprendere i processi di glicolisi o comprendere come funziona la fermentazione alcolica? Perché dovrebbero passare notti insonni per memorizzare e capire a fondo l’acido acetico che ritroveremmo in totale prevalenza, quasi sempre ben oltre il limite che pone la legge, se lasciassimo che un grappolo d’uva facesse il suo corso naturale di trasformazione? Perché dovrebbero studiare che la fermentazione spontanea si attiva sulle basse gradazioni e che, invece, fa più fatica sulle alte? E sì, caro Riccardi, lo dicono anche le sacre scritture: il vino è frutto dell’uva e opera dell’uomo. Lei addita i lieviti selezionati come il male, ma ignora che servono soltanto per esaltare le caratteristiche dell’uva stessa e ci si ricorre solo in determinati contesti e non certo a prescindere. Questo lo sanno tutti gli enologi, ma a lei purtroppo sfugge.

E potrei continuare all’infinito a citare termini e processi scientifici che probabilmente sono totalmente sconosciuti a chi professa filosofie autodidatte in nome di una vitivinicoltura semplicemente inesistente e pericolosa, proprio perché basata sul facciamo ad occhio, senza alcun rispetto di valori e parametri che rendono un prodotto – in questo caso il vino – sano ed equilibrato. Le pratiche enologiche tradizionali e moderne si basano su decenni di ricerca, con lo scopo di garantire, appunto, stabilità, qualità e sicurezza al prodotto finale. Ad esempio, l’uso controllato della solforosa non è certo un capriccio, ma una pratica che permette di preservare il vino e garantire che non si deteriori prematuramente, senza compromettere la salute del consumatore. E poi, per favore, basta demonizzare i solfiti nel vino quando li troviamo regolarmente in quantità 4-5 a volte 8 volte superiore nella frutta secca, nelle marmellate o nel pesce ecc.  E a tal proposito, già qualche anno fa, un autentico guru dei “naturalisti”, Josko Gravner, con totale onestà intellettuale, ammise che senza la giusta dose di solfiti, i batteri presenti nel vino producono, attraverso il loro metabolismo – molto spesso se non sempre – quantità abnormi di acido acetico, compromettendo le qualità organolettica del buon vino e ancor di più contravvenendo a quelli che sono i limiti previsti dalla legge.

La vitivinicoltura, caro Riccardi, che piaccia o meno, non è filosofia, ma si basa su precisi percorsi scientifici. Una verità che il consumatore ha il dovere e il diritto di conoscere, al di là della sua scelta finale. Dopo decenni di studi e sperimentazioni, tese all’ innalzamento della qualità e della salubrità dei nostri vini, non possiamo permetterci di far passare un prodotto difettoso per “caratteristico”. Non possiamo permetterci di generare ambiguità e confusione nei consumatori solo per dare spazio a operazioni di marketing ingannevoli, dove qualsiasi vino non convenzionale viene etichettato come “naturale”, indipendentemente dalla sua qualità o dal processo produttivo. Ed è inutile pescare nella memoria della storia, citando i vini che producevano i greci o gli antichi romani. Inutile aggrapparsi alla fede, tirando in ballo addirittura Gesù e l’ultima cena. Se per questo, il Nostro Signore trasformò pure l’acqua in vino nelle nozze di Cana. Ma vede, Riccardi, certi miracoli riuscivano solo a Lui, non ai comuni mortali.

https://www.gamberorosso.it – 17/10/2024

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