Un bicchiere di vino nello spazio? Si “berrà” in pillole
La prima etichetta a gravità zero sarà Orvieto Cl. Sup. Muffa Nobile Calcaia Barberini.
I ricercatori dell’Università Campus Bio Medico hanno presentato una soluzione per portare il vino nello Spazio sotto forma di capsule edibili.
Nel corso del simposio A tavola nello Spazio: produzione e conservazione di cibo, organizzato dall’Agenzia Spaziale Italiana a Roma la scorsa settimana, è stata presentata una soluzione che permetterà anche agli astronauti di gustarsi un bicchiere di vino mentre sono in orbita. Lo stesso vale per i pochi che avranno le risorse per un’esperienza gastronomica nello Spazio.
Il vino non si potrà propriamente bere ma, come spiega Gamberorosso.it, verrà consumato in orbita sotto forma di pillole edibili. “Il progetto va un po’ controcorrente rispetto al periodo in cui se ne limita il consumo. – spiega la dottoressa Elena Luciani dell’Università Campus Bio Medico di Roma – Il vino fa parte della nostra cultura ed è associato a momenti speciali o ad occasioni conviviali e questo progetto serve a fornire cibi piacevoli e famigliari contribuendo al benessere degli astronauti garantendo un senso di connessione con la terra”.
https://www.affaritaliani.it – 26/03/2024
Bianchi e prodotti da donne. Ecco due Vini Rari del centro Italia dal grande carattere
Sono tante le cose che uniscono i due Vini Rari che vi presentiamo questa volta. Le regioni da cui provengono sono diverse, i vitigni pure, ma prima di tutto, l’annata è la stessa. Entrambi 2020, non una cosa da poco per dei bianchi del centro Italia che, essendo attualmente in commercio, vogliono dimostrare la loro capacità d’invecchiamento. Ma il fattore più importante è un altro. Sono tutti e due il frutto di un pensiero profondo che arriva da due donne, viticoltrici, appassionate del vino e del loro lavoro.
Uno lo produce Giulia di Cosimo dell’azienda Argillae, realtà umbra dell’orvietano. Giulia ha voluto fortemente un grande bianco da invecchiamento, fedele al suo territorio e prodotto grazie a un materiale che caratterizza i suoli aziendali, l’argilla. Il Primo d’Anfora, infatti, è vinificato in anfore ed è per questo che secondo Giulia «il cerchio si chiude, tutto parte dalla terra e alla terra ritorna».
L’altro vino si chiama C’era Una Volta e il nome stesso ci riporta a una tradizione antica, figlia di un’esperienza del passato, che Giovanna Chessa – titolare dell’azienda che porta il suo stesso nome – ha voluto ereditare. Il vino è un Vermentino di Sardegna le cui uve macerano sulle bucce per circa due settimane, dopo una raccolta tardiva in vigna. Risultato assolutamente convincente e vino che, siamo certi, darà il meglio nel prossimo futuro.
https://www.gamberorosso.it – 10/03/2024
Cos’è l’Ippocrasso, il vino dolce che arriva direttamente dal Medioevo
Avete mai assaggiato l’Ippocrasso? Si tratta di un vino speziato dal sapore molto dolce, realizzato secondo un’antichissima ricetta che si fa risalire addirittura a Ippocrate di Kos, ritenuto il padre della Medicina moderna. Da molti considerati l’antenato del Vermouth, non c’è dubbio che il successo di questo vino si attesta in epoca medievale. Siete curiosi di conoscere la storia di questo vino aromatizzato fermentato? Scopriamola insieme.
Secondo la credenza popolare, l’Ippocrasso sarebbe stato inventato dal famoso medico greco Ippocrate nel lontano V sec.a.C. C’è da dire però che non esistono prove a sostegno di questa tesi, perché le prime fonti che attestano l’esistenza di questo particolare vino risalgono al XVI secolo. Si tratta di un vino aromatico fermentato fatto con aggiunta di spezie e miele.
L’unica certezza è che gli antichi Greci bevevano i vini stomachici, ovvero dei vini locali a base di fiori di artemisia macerati. I Romani a questa tipologia di vino aggiunsero anche spezie ed erbe come timo, mirto e rosmarino.
La bevanda però nota come Hypocras diventa famosa solo in epoca medievale non solo come drink, ma anche come rimedio medico. Secondo gli storici, ogni speziale (o vinattiere) aveva la sua ricetta segreta per la preparazione dell’Ippocrasso. C’è chi usa come spezie cannella, mirro e rabarbaro e chi invece l’artemisia e il cardamomo. In ogni caso sembra come ingredienti fondamentali della ricetta ci fossero vino locale, cannella, zenzero e artemisia.
https://www.wineandfoodtour.it – 05/03/2024
Il misterioso Sangue di Giuda: il segreto dietro il nome del vino
Il Sangue di Giuda, entrando nel dettaglio, è un vino dolce rosso frizzante dal sapore distintivo e dal colore intenso. Anche questa sua particolarità dal punto di vista cromatico ne ha favorito l’accostamento al sangue.
La storia del Sangue di Giuda risale al Medioevo, quando la leggenda narra che Giuda Iscariota, il traditore di Gesù Cristo, si suicidò gettandosi da una roccia nella città di Acqui Terme, nel Piemonte.
Si dice che il sangue di Giuda, versato in quel luogo, abbia iniziato a crescere come un albero di vite da cui venne prodotto un vino dolce e rosso come il sangue del traditore. Poi però questo vino è stato inglobato in quelle che sono le produzioni tipiche del Pavese.
La storia potrebbe essere solo una leggenda, ma il vino Sangue di Giuda è diventato popolare per il suo gusto unico e la sua storia affascinante. Oggi è considerato un vino da dessert molto apprezzato in Italia e all’estero.
Esiste anche un’altra leggenda suggestiva
C’è anche una seconda leggenda popolare che si prefigge di spiegare il perché il Sangue di Giuda si chiami così. Si racconta che un giovane monaco tradì il suo voto di castità e fu scoperto mentre baciava una donna.
Il monaco venne giustiziato e il suo sangue cadde sul terreno, dando vita a una vite da cui vennero prodotte le prime uve del Sangue di Giuda. Questa leggenda ha contribuito a creare un’aura di mistero e romanticismo attorno a questo vino, che è diventato famoso per la sua dolcezza e il suo sapore fruttato e fragrante.
https://www.ricettasprint.it – 29/02/2024
Nasce una nuova guida internazionale
Trenta sommelier di tutto il mondo hanno selezionato le migliori etichette.
Due veneti – lo spumante Grave di Stecca 2017 dell’azienda Nino Franco di Valdobbiadene e il Lison classico 2019 di Villa Bogdano di Portogruaro – e un friulano, il Pinot grigio Salvadi 2020 di Scarbolo – entrano nella prestigiosa prima edizione della “World’s best sommelier selection”, una lista internazionale stilata da alcuni dei più bravi sommelier della “World’s 50 best restaurants” e resa nota in questi giorni.
A completare la prestigiosa cinquina del Nord Est anche due grandi classici trentini come il Trentodoc Perlè 2018 di Ferrari e il Granato 2019 di Foradori.
La guida è al debutto, e nel panorama enologico e dell’alta cucina gode di credito, curiosità e molto interesse, visto che si tratta dell’ennesima idea di William Reed, il nome dietro ai “The World’s 50 best restaurants” e “World’s best vineyards”.
Dopo un accurato processo di degustazione, a Londra, sono stati selezionati alcuni dei migliori bianchi e rossi mondiali. Sono 16 su circa 130 le referenze italiane che, insieme agli Stati Uniti, si pone al secondo posto della classifica dei Paesi con più etichette selezionate, subito dopo la Francia con 17. La degustazione è stata presieduta da una giuria internazionale di sommelier, in rappresentanza di quattro continenti e 16 Paesi.
La degustazione internazionale è stata diretta da Josep Roca, Leggi il resto di questo articolo »
Il vino rosé? chiamiamolo «rosa»
Il vino rosa è sempre stato al centro della nostra vita. Anche in casa, dove il cerasuolo, tipico della nostra provincia, L’Aquila, accompagnava i pasti. I nostri nonni, però, lo consideravano un rosso. Fino a 50 anni fa, quando abbiamo iniziato a vinificare, gli aquilani lo percepivano così. E, in generale, i rosé non erano ben visti.
Ma cominciamo proprio dalle parole, che hanno un peso: rosé è un termine che sa di vecchio, rievoca la francofilia delle nostre nonne che chiamavano paltò il cappotto e abat-jour la lampada. Se esistono il bianco e il rosso, perché non il rosa? Dal nome, un dettaglio solo all’apparenza, abbiamo iniziato la nostra battaglia per ridare dignità al vino rosa. Crediamo non sia un prodotto secondario, ma un’alternativa di pari dignità rispetto ai più blasonati «cugini». Anche perché, a ben vedere, il vino rosa ha fatto da mattatore sulla scena enoica per secoli e secoli, anche se sotto le mentite spoglie del rosso e del bianco, proprio perché era privo di un nome proprio.
Lo si legge nei documenti antichi che parlano di vinificazione: a partire dal Trecento, Leggi il resto di questo articolo »
La fine del mito del vino francese: Bordeaux a un euro al litro
Prima del cambiamento climatico potrebbe essere il mercato a mettere fuori gioco la viticoltura francese.
Mentro il governo pensa ad aiuti per espiantare 100 mila ettari di vigneti in Francia, per far fronte a un surplus produttivo da 5 milioni di ettolitri, le giacenze pesano nelle cantine, cooperative e private, tanto che ormai non ci si fa più remore neanche a svendere il vino più pregiato.
Recentemente sono stati registrati contratti a Bordeaux per 1000 euro per un tonneau da 900 litri.
“Non è accettabile che ci siano transazioni siano inferiori a 1.000 euro al barile, ben lontane dalla copertura dei costi di produzione. Lasciamo questi mercati ad altri prodotti che hanno meno vincoli normativi, costi di produzione più bassi e rese più elevate. Per mantenere la forza della nostra immagine di vini di qualità, che si riflette nei nostri prodotti, nei nostri impegni per l’ambiente e nella nostra responsabilità sociale, le transazioni devono garantire che tutti questi costi, in costante aumento, siano remunerati.” hanno scritto in una lettera riportata da Vitisphere, Allan Sichel e Bernard Farges, presidente e vicepresidente del Civb, Lionel Chol, presidente della Fédération du Négoce, e Jean-Marie Garde, presidente della Fédération des Grands Vins de Bordeaux.
La situazione è talmente drammatica che i viticoltori stanno trattando col governo incentivi all’espianto perpetuo dei vigneti per 4000-6000 euro ad ettaro mentre vi sarebbe un incentivo di 2000-3000 euro/ha per l’espianto “a tempo”, ovvero con l’impegno a non reimpiantare il vigneto per 6-8 anni.
La viticoltura francese ha però un altro nemico.
Il documentario Un point c’est tout (“Questo è tutto”) racconta il declino inesorabile dei vigneti francesi a causa del cambiamento climatico. Dalla pellicola del vivaista Lilian Bérillon emerge il fatto che senza un intervento rapido e definitivo i grandi vini francesi sono destinati a scomparire.
https://www.teatronaturale.it – 13/02/2024
Caldaro: i vini di montagna Erste+Neue tra presente, passato e futuro
Nata nel 1986 dalla fusione della storica Cantina Sociale di Caldaro, la ”Erste Kellerei”, con la più giovane ”Neue Kellerei”, Erste+Neue ha un obiettivo primario: valorizzare i vitigni tipici.
Vini di montagna, ad ottocento metri sul livello del mare: Erste+Neue fa base a Caldaro, tappa fondamentale della Strada del Vino, in Alto Adige. Eppure ci è capitato di assaggiarli, per la prima volta, a Napoli, a tavola, di quelle ricche di spunti di riflessione ed occasioni per conoscere e crescere. Accolti da La locanda del Gesù Vecchio, atmosfera intima seppur festosa, impreziosita dal fascino di un raffinato palazzo del ‘500, ci siamo ritrovati con il Centro Storico di Napoli nel piatto e le Alpi nei calici. Con il beneficio di seguire le regole o di liberarcene per il semplice gusto di sperimentare. Quando si parla di vino, come di cibo, il traguardo resta la piacevolezza, quella che inevitabilmente passa anche attraverso la soggettività di ognuno di noi.
Erste+Neue nasce a Caldaro, in provincia di Bolzano, nel 1986. Dalla fusione della storica Cantina Sociale ”Erste Kellerei” con la più giovane ”Neue Kellerei”, fondata nel 1925. Vini che parlano di montagne imponenti, di rocce e di forti pendii. Produrre vino lassù significa compiere un atto eroico, passione e sfida che nemmeno si scontrano più: è la dura legge dell’alta montagna.
L’Alto Adige è una delle regioni vitivinicole più piccole d’Italia, ma riesce a garantire grande varietà: basta spostarsi di pochissimo e tutto cambia, con altitudini che oscillano tra i duecentocinquanta ed i mille metri, terreni aridi fatti di sassi ed un impegno che cresce insieme alla gratificazione finale. L’uva matura a lungo sulle piante e le escursioni termiche – tra la notte e il dì – sono consistenti al punto da aver caratterizzato la ben nota aromaticità dei vini altoatesini.
Quanto al suolo, ci sono porfido vulcanico, calcare, roccia, difficoltà che sono state addomesticate per poter virare sull’eleganza e sulla finezza del sorso. La freschezza delle montagne e il sole caldo, eccolo il segreto di Erste+Neue, un lavoro svolto con chiarezza e obiettivi virtuosi. Valorizzare i vitigni del posto ed essere sostenibili, per esempio utilizzando il cosiddetto vetro leggero per ridurre la quantità di materie prime, le emissioni di azoto e di anidride solforosa, senza contare il taglio ai costi che sono legati al trasporto.
https://www.mangiaebevi.it – 06/02/2024
Ecco il “naso elettronico” che svela l’origine e la freschezza dei vini
È stato progettato da una ricercatrice italiana un “naso elettronico” per studiare i vini sul mercato, uno strumento in grado di riconoscere la freschezza del prodotto e la sua origine: è il risultato del lavoro della fisica bresciana Sonia Freddi, nei laboratori del Dipartimento di Fisica dell’Università Cattolica di Brescia.
La scoperta apre la strada a test per i controlli sulla qualità.
Cibi e bevande emettono particolari molecole di gas che possono indicare se un prodotto è fresco o deteriorato. Il naso rileva queste molecole biomarcatori grazie all’analisi delle componenti volatili e può essere potenzialmente applicato in svariati campi come il controllo della qualità, della freschezza e dell’origine dei prodotti.
Il vino, in particolare, è caratterizzato da particolari componenti organolettiche e volatili, circa 800 diverse, che identificano non soltanto la sua composizione chimica o la tipologia d’uva utilizzata ma anche la provenienza. Negli ultimi anni, l’industria vinicola ha cercato tecniche sempre più rapide e affidabili per controllare l’origine di vini Docg o Doc; l’utilizzo di un naso elettronico, grazie alla sensibilità elevata dei sensori è una tecnica che sta prendendo sempre più piede in questo ambito.
Il naso elettronico è stato testato in laboratorio su varie sostanze campione; per esempio ammoniaca, acetone e acido acetico, indicatori dell’adulterazione del vino. Successivamente è stata la volta dei test veri e propri di svariati vini, sia per verificarne la freschezza (in particolare di un generico vino bianco da cucina), sia per il riconoscimento di diverse tipologie di vino. Sono stati testati svariati vini, bianchi e rossi, prodotti in Lombardia (Pinot grigio, pinot rosso, Lugana, chardonnay, sauvignon, prosecco, rime rosè). Il naso elettronico si è dimostrato in grado sia di riconoscere la freschezza e l’adulterazione di un generico vino bianco, sia di riconoscere con buona precisione i vari vini testati.
https://www.virtuquotidiane.it – 06/02/2024
L’Amarone della Valpolicella raccontato dall’archivio Tedeschi
Inaugurato in azienda l’archivio dei vini della storica cantina. Un patrimonio organolettico ora aperto al pubblico dei collezionisti, degli operatori dell’alta ristorazione e degli appassionati.
Racconta la storia della passione tramandata di generazione in generazione, da Lorenzo, il padre innovatore ai figli Antonietta, Sabrina e Riccardo, l’archivio dei vini Tedeschi inaugurato nei giorni scorsi all’interno dell’azienda vitivinicola di Pedemonte di Valpolicella, in provincia di Verona. Ci sono 6.800 bottiglie, su un totale di vecchie annate di circa 27.000 bottiglie, una vera e propria libreria delle etichette catalogate per annata e Cru, che mette a disposizione dei collezionisti italiani ed esteri, una nuova e più profonda esperienza percettiva dei diversi Amarone e Valpolicella Tedeschi.
Un patrimonio organolettico dell’azienda Tedeschi ha un ruolo pioneristico in Valpolicella. L’archivio custodisce cinquant’anni di storia dell’Amarone della Valpolicella e la sua ‘evoluzione’. Una storia di famiglia iniziata negli anni ’60 quando Lorenzo, che oggi ha 91 anni, ebbe l’idea di vinificare separatamente le uve del vigneto Monte Olmi per dare origine ad uno dei primissimi Cru della Valpolicella. Oggi Monte Olmi è il vino emblema dell’azienda e del territorio. In questo vigneto nasce il Cru Capitel Monte Olmo, Amarone della Valpolicella Docg Classico Riserva.
All”inizio degli anni 2000 si è aggiunto il vigneto Leggi il resto di questo articolo »