Vino dealcolato: i pochi pro e i molti contro di una riforma inevitabile
Dal 27 dicembre 2024, grazie a un decreto del ministro Lollobrigida, anche in Italia si può produrre un vino dealcolato. Notizia buona? Notizia cattiva?
Beh, visto che la pratica era consentita già in altri paesi produttori – anche a noi vicini geograficamente e culturalmente – diciamo che era inevitabile che si liberalizzasse la pratica anche nel nostro Paese. E questo darà modo ai nostri produttori di non subire una concorrenza ingiusta. Quindi, almeno da questo punto di vista, bene direi.
Poi però si apre un altro fronte non di poco conto, ovvero cui prodest questa operazione? Cercherei di rispondere per punti con l’obiettivo di chiarire la posizione di Slow Wine rispetto a questa grande innovazione per il mercato e per i consumatori.
Vino dealcolato: quali i pro?
La notizia più positiva è riservata a tutti coloro che per scelte ideologiche, religiose e di salute vorrebbero bere il “vino” e ora finalmente lo potranno fare. Questo fatto per rispetto delle persone che la pensano diversamente da noi diciamo che sicuramente va salutato come un successo della tecnica e della ricerca: dunque ben venga!
E i contro?
Diversi produttori di cui abbiamo stima salutano il vino dealcolato come la panacea a tutti i mali della riduzione dei consumi, e quindi la salvezza per diversi vigneti e denominazioni storiche. Su questo nutro dubbi profondi e cercherò di esplicitarli.
La pratica di dealcolizzazione riduce la produzione perché si toglie almeno il 15% del volume dal vino. Questa drastica diminuzione della resa, su vigneti di collina che già hanno una produttività bassa, obbligherà a prezzi molto alti dello zero alcol. Molto più facile e scontato che le uve di queste future bevande sia raccolte in pianura, dove è semplice irrigare e pompare le vigne, sfruttando – perché no!? – la vendemmiatrice e la meccanizzazione spinta. Se tanto si realizzano vini senza alcol, francamente molto manipolati dal punto di vista tecnico (a meno che i supporter della tipologia non vogliano raccontarci che l’osmosi è una pratica “naturale”), che importanza avrà il loro legame presunto con il terroir?
Veniamo a uno dei punti meno presi in considerazione, ovvero la piacevolezza degli stessi dal punto di vista organolettico. Sono usciti alcuni articoli molto interessanti e citiamo fonti esterne e non di Slow Wine, giusto per non essere tacciati di essere poco oggettivi e parziali. Il Gambero Rosso, ad esempio, ha recensito ben 30 vini dealcolati e i commenti, tutti molto spassosi, portano a un’unica conclusione: per ora queste etichette nulla o quasi hanno a che fare con i prodotti per cui scriviamo una Guida da quindici anni. Anche Dissapore regala una descrizione simile per l’assaggio di uno spumante tedesco. Insomma, per il momento, bene per far fare dei finti brindisi ai bimbi e consentire alle donne incinta di festeggiare; per il resto, probabilmente, meglio bere un gran succo di frutta davvero naturale…
Il processo che ci porta ad avere nel bicchiere questi vini è del tutto simile a quello che andava di moda negli anni Novanta, ovvero la concentrazione del mosto tramite osmosi inversa. In questo caso, però, si fa l’esatto contrario: si estrae alcol e lo si toglie dal liquido. Questo lavoro ha un costo piuttosto alto sia in termini di una macchina che non è proprio a buon mercato sia in termini di energia impiegata. In un mondo che sta cercando di limitare le emissioni pensare a una bevanda che per natura è ricca di alcol salvo poi decidere di toglierlo, producendo gas serra, non è il massimo come messaggio.
Infine, vorrei soffermarmi su quella che è l’obiezione più importante che metto sul tavolo, ovvero la possibilità di inserire questi vini nelle denominazioni. Vista la scarsissima aderenza degustativa dei vini dealcolati ai cugini tradizionali mi pare essenziale che in questo momento si ragioni con attenzione prima di compiere passi falsi irreparabili per denominazioni storiche che hanno costruito con fatica una propria riconoscibilità e fama sul mercato mondiale.
Mettere sullo stesso piano bicchieri completamente differenti creerà una gran confusione e manderà all’aria storia e tradizioni che sono frutto di un lungo processo che ci ha portato fin qui.
Solo e soltanto se prove, nuove conoscenze, tecniche enologiche innovative porteranno a far assomigliare lo zero alcol al vino, allora potrà aprirsi un dibattito fondato. Per il momento ritengo che i vignaioli artigiani di alta qualità che così tanto amiamo e abbiamo imparato a conoscere debbano far molta attenzione a pensare di considerarli sullo stesso piano di quanto loro fino ad ora hanno fatto.
https://www.slowfood.it – 16/01/2025